Data la sua lunga esperienza nel settore dei media, si aspettava l’evoluzione dei social da luoghi di incontro capaci di mettere a contatto più persone provenienti da diverse aree geografiche a fonti di informazione?
Questo è un percorso tanto prevedibile quanto inevitabile. Ne intercettammo i primi segnali una ventina di anni fa quando i ragazzi iniziarono a dichiarare che si fidavano più dei loro amici che delle “fonti ufficiali”. Quello che è accaduto è che la tecnologia è riuscita a essere abilitatore di questa tendenza ma non ne è stata la ragione scatenante
Crede che social e giornalismo possano finalmente andare di pari passo oppure bisogna essere ancora diffidenti? Perchè?
Credo che i due piani si intersechino e non credo ci siano controindicazioni se non nella eventuale non compatibilità del modello social con il giornalismo a pagamento. Ciò che dovremmo invece continuare a monitorare continua ad essere il rapporto tra social e fake news, anche se sembra interessare di meno in questo contesto politico e sociale
Sui social circola tanto sensazionalismo, cosa si potrebbe fare concretamente per limitare questo fenomeno?
Quello è un meccanismo che potrà rallentare solo per moto proprio. Ciò che possiamo fare noi è usare la grammatica del nostro tempo per far arrivare anche messaggi che siano più basati sull’idea di servizio che di sensazionalismo
Recentemente Ansa, Adnkronos e il Sole 24 Ore hanno adottato un codice di autodisciplina in materia IA sostenendo che queste tecnologie miglioreranno la professione giornalistica. Lei cosa ne pensa?
È una tematica fondamentale per il nostro futuro e dobbiamo attrezzarci per affrontarla adeguatamente. Ad oggi siamo totalmente impreparati
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