Quali passi devono compiere le aziende del settore del digitale per reagire a questa emergenza?
Dobbiamo tenere ben presente che tutte le aziende saranno di fatto impattate, dunque anche quelle del settore Ict. La diversa capacità di reazione all’emergenza da parte delle digital company dipende dalla natura del loro business, che le ha condotte a imboccare già da prima la via della trasformazione digitale e quindi oggi sono in grado di reagire meglio sul fronte dei processi produttivi. Ma questo vale anche per le imprese provenienti da altri settori che si sono digitalizzate. Per esempio, quelle che avevano già colto le opportunità dei piani Industria e Impresa 4.0 sono aziende senza dubbio più preparate ad affrontare il blocco delle attività in presenza e il distanziamento sociale. I passi giusti da fare sono dunque quelli che conducono l’azienda a innovarsi e diventare digitale: adozione di infrastrutture tecnologiche come il cloud, efficientamento dei processi organizzativi con lo smart working, formazione del personale, introduzione di nuove competenze, sviluppo di attività di marketing digitale ed e-commerce. Nella fase dell’emergenza questa strategia permetterà alle aziende di tenere meglio e non avere troppe perdite. Nella fase di ritorno alla normalità, che sarà comunque lunga e incerta, le aziende digitalizzate avranno strumenti più efficaci e performanti per rilanciare il proprio business, se nel frattempo non avranno messo a punto nuovi modelli di business, proprio grazie all’innovazione. Vorrei infine aggiungere che, in questa drammatica circostanza, in cui il digitale si è rivelato strategico, molte aziende dell’Ict sono intervenute a supporto del sistema Paese mettendo a disposizione gratuitamente piattaforme e servizi. Le telco hanno aumentato la disponibilità di banda e Giga senza costi aggiuntivi per i clienti finali, dall’altra c’è stata una gara a mettere a disposizione gratuita le piattaforme per la didattica a distanza, lo smart working, le video conferenze, i team di consulenti. Siamo il settore trainante e abbiamo sentito il dovere di metterci a disposizione del Paese per facilitare l’utilizzo delle tecnologie digitali.
Cosa pensa dei decreti messi in campo dal Governo per sostenere le aziende del digitale?
In questa circostanza non ci sono stati decreti mirati a sostenere specificatamente le aziende del digitale, né noi ci aspettavamo che ci fossero. Diciamo che la politica a favore del digitale si fa soprattutto sostenendo lo sviluppo della domanda di nuove tecnologie, l’innovazione dei processi organizzativi, gli investimenti in Ict. Questo è avvenuto, prima dell’emergenza, con una serie di provvedimenti riguardanti, ad esempio, la stessa Industria 4.0, i voucher per i digital manager, il sostegno alla formazione e riqualificazione dei lavoratori, i voucher per gli abbonamenti a banda larga, ecc. Misure che ci auguriamo verranno non solo confermate, ma rafforzate nella prossima fase per rilanciare l’economia e portare a compimento la trasformazione digitale del Paese. Il nostro settore oggi beneficia degli stessi provvedimenti a sostegno delle imprese messi in campo dal Governo in questi giorni, come il Dl liquidità. A questo proposito vorrei rilanciare l’appello del Presidente di Assonime Innocenzo Cipolletta: bisogna affiancare all’iniezione di liquidità – che comporta comunque un aumento del debito – un’iniziativa, attraverso la costituzione di un fondo, che consenta la ricapitalizzazione delle aziende. Sarebbe un modo virtuoso per far sì che la situazione finanziaria sia sostenibile anche dopo la crisi.
In che termini, l’emergenza Coronavirus ha dato una spinta alla digitalizzazione del Paese?
Sotto l’urto del Covid-19, in pochi giorni il Paese ha dovuto aprire nuovi percorsi digitali introducendo cambiamenti importanti nell’organizzazione delle attività lavorative, della sanità e del sistema dell’istruzione, richiedendo a uffici, scuole e aziende, di compiere uno sforzo notevole per attrezzarsi e superare rapidamente il ritardo organizzativo, di competenze e tecnologie. L’Italia sembra aver capito quanto il digitale sia strategico e che non si può e non si deve tornare indietro. L’emergenza sanitaria ci ha costretto a toccare con mano ciò che era evidente anche prima: le società odierne, complesse, articolate e sovraffollate, non possono fare a meno delle infrastrutture e dei servizi messi a disposizione dalle tecnologie digitali che, però, per dispiegare il loro potenziale, hanno bisogno di regole, normative e procedure snelle, semplici, chiare. Ecco dunque che la necessità di far adottare urgentemente su larga scala misure come lo smart working o la didattica a distanza ha fatto capire che bisognava sburocratizzare questi processi. Perciò il Governo ha dovuto semplificare gli adempimenti riguardanti l’adozione dello smart working nella Pa dichiarando superato per legge il regime sperimentale a cui erano obbligate le amministrazioni e quindi rendendo subito operativa questa nuova modalità. Lo stesso è avvenuto per la didattica a distanza: il decreto del 4 marzo scorso, con cui sono state sospese tutte le attività didattiche sul territorio nazionale, ha di fatto trasformato la didattica on line da facoltativa a obbligatoria ed eliminato il passaggio che vincolava i dirigenti scolastici al previo coinvolgimento del collegio dei docenti. Esemplare è pure la vicenda che ha visto completare la dematerializzazione della ricetta elettronica con una semplice ordinanza della Protezione Civile, concludendo un percorso normativo avviato nel lontano 2010. C’è da augurarsi che la spinta alla semplificazione guidi anche le prossime fasi che ci troveremo ad affrontare, essendo questa la base per progettare un paese nuovo, più semplice, efficiente, performante.
Che cos’è e come funziona il fascicolo sanitario elettronico?
Il Fse è l’insieme dei dati e documenti digitali di tipo sanitario e socio-sanitario generati da eventi clinici presenti e trascorsi, riguardanti l’assistito. Ha un orizzonte temporale che copre l’intera vita del paziente ed è alimentato in maniera continuativa dai soggetti che lo prendono in cura nell’ambito del SSN e dei servizi socio-sanitari regionali. Dal punto di vista tecnico è un’infrastruttura tecnologica che ha articolazioni regionali che convergono verso la piattaforma nazionale messa a punto dall’Agid. Il Fse deve essere attivato dal singolo cittadino, accedendo alla sezione dedicata del portale della regione di appartenenza. Ma proprio qui sta il punto critico, perché quanti di noi sanno di questa opportunità? Il ritardo tecnologico e una geografia della digitalizzazione delle strutture sanitarie a macchia di leopardo, fanno si che molte Regioni non mettano in atto alcuna campagna informativa per favorire l’adozione di questo strumento. Secondo i dati presenti nel sito istituzionale https://www.fascicolosanitario.gov.it/ allo stato attuale il Fse è stato attivato da 18 regioni di cui 11 aderenti al sistema di interoperabilità dell’Agid, ma presenta un livello di implementazione dei servizi molto differenziato sul territorio. Non è difficile immaginare quanto sarebbe stato prezioso in questo momento poter disporre di un Fse omogeneo a livello nazionale, costituendo così una banca dati affidabile, gestita da un ente pubblico competente, in grado di offrire garanzie sia sulla privacy che dal punto di vista della cybersecurity. Anche in questo caso il nostro auspicio è che si dia rapido impulso a questo strumento puntando fin da subito a realizzare un progetto ampio e ambizioso di sanità digitale basato sull’interoperabilità fra tutte le sue strutture territoriali, da cui far discendere anche servizi avanzati come il video consulto e lo scambio telematico di dati clinici fra medici e ospedali diversi.