Questa iniziativa nasce dall’allarme crescente legato all’esposizione e allo sfruttamento dei minori sui social, spesso gestiti dai genitori che si pongono come dei manager nei confronti dei figli, trasformando la produzione domestica di video e post in un vero e proprio lavoro minorile non regolamentato.
Il disegno di legge predispone che per avere accesso ai social network si debba avere un’età minima di 15 anni, propone dei sistemi di verifica dell’età più rigidi e introduce l’obbligo di autorizzazione da parte dell’Ispettorato del lavoro per i minori che guadagnano oltre 10.000 euro annui attraverso attività online. Secondo quanto dichiarato, i compensi devono essere custoditi in un conto vincolato intestato al minore, accessibile solo al raggiungimento della maggiore età o su autorizzazione giudiziaria. Tuttavia, il ddl lascia ancora irrisolta la qualificazione giuridica del minore come lavoratore digitale e la responsabilità patrimoniale dei genitori.
A livello internazionale la Francia ha già adottato una legge organica sul lavoro dei minori online che offre un modello più completo grazie ad orari limitati, autorizzazioni amministrative e tutela dei compensi. In Italia, invece, il fenomeno è spesso normalizzato e invisibile, con un mercato multimiliardario in crescita e un’incidenza significativa, soprattutto nel settore della cosmesi e dello sharenting (madri che promuovono i figli sui social).
Il ddl italiano rappresenta un passo importante, ma ancora parziale, focalizzato soprattutto su accesso e controllo, senza affrontare pienamente la dimensione economica e i rischi dello sfruttamento intrafamiliare. È necessaria una normativa più strutturata, che riconosca il minore come lavoratore digitale e che garantisca trasparenza, tutela patrimoniale e educazione digitale, per proteggere realmente l’infanzia nell’economia online.
S.B.
Diritto dell’informazione
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