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GIURISPRUDENZA E DIFFAMAZIONE AGGRAVATA: QUANDO IL BLOGGER RISPONDE IN CONCORSO CON L’AUTORE

Un approfondimento sulla tutela dell’onore e della reputazione a mezzo internet

by Redazione
24 Gennaio 2022
in Diffamazione
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GIURISPRUDENZA E DIFFAMAZIONE AGGRAVATA: QUANDO IL BLOGGER RISPONDE IN CONCORSO CON L’AUTORE

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L’art.595 C.p., specie nelle circostanze aggravanti previste dal secondo e dal terzo comma, ha da sempre attirato l’attenzione di dottrina e giurisprudenza. Quest’ultima, soprattutto per quanto concerne la diffamazione commessa “con il mezzo della stampa o con ogni altro mezzo di pubblicità”, è stata a lungo impegnata puntando la propria lente di ingrandimento sulla responsabilità del gestore di un sito internet o di un blog per i contenuti diffamatori pubblicati su queste piattaforme da altri soggetti. La tendenza è stata fondamentalmente quella di escludere la responsabilità del blogger o del gestore del sito, sia nei casi in cui essi non siano stati portati a conoscenza del commento offensivo presente sul blog/sito da loro gestiti, sia nei casi in cui, al contrario, siano stati informati ma abbiano provveduto contestualmente alla rimozione del contenuto oggetto del contendere. In particolare, la Cassazione penale, sez. V, con sentenza n. 12546 del 8 novembre 2018, ha stabilito che “Il blogger può rispondere dei contenuti denigratori pubblicati sul suo diario da terzi quando, presa cognizione della lesività di tali contenuti, li mantenga consapevolmente. In linea con i principi della responsabilità personale del blogger, è necessaria una verifica della consapevole adesione da parte di quest’ultimo al significato dello scritto offensivo dell’altrui reputazione, adesione che può realizzarsi proprio mediante la volontaria mancata tempestiva rimozione dello scritto medesimo”. Una sentenza della medesima Corte di due anni prima, la n. 54946, si muoveva già su questo filone.  Nel caso in oggetto, un commento, pubblicato da un utente su una community, definiva l’ex presidente della FIGC, Carlo Tavecchio, come un “emerito farabutto” e “pregiudicato doc”, allegando al commento anche il relativo certificato penale del soggetto diffamato. Il gestore del sito, in quel caso, aveva scritto e pubblicato un articolo che richiamava il precedente commento, difendendolo pubblicamente e reputandolo non diffamatorio nei confronti dell’ex Presidente della FIGC. Di conseguenza, la Corte di Cassazione aveva rilevato che la conoscenza da parte del gestore del sito dell’esistenza del messaggio pubblicato dall’utente della community, nonché la sua scelta consapevole di lasciarlo online, avevano costituito un presupposto sufficiente per l’accertamento della responsabilità del gestore del sito. Quindi, nel caso di specie la Corte di Cassazione ha rilevato un’ipotesi di responsabilità in concorso di persone ex art. 110 c.p., fondata sulla consapevolezza del gestore del sito di mantenere on-line il commento diffamatorio, poiché aveva assunto le difese dell’autore del commento, rafforzandone l’intento criminoso. La Corte aveva perciò confermato la sentenza impugnata la quale, oltre a condannare il titolare del sito per il reato di diffamazione in concorso con l’autore del commento, lo aveva altresì condannato al risarcimento dei danni liquidati in € 60.000,00. In conclusione, se il blogger o il gestore di un sito, non dovesse procedere a rimuovere un commento denigratorio della reputazione altrui, occorrerà valutare se la sua inerzia fosse stata dettata da una sorta di indolenza o se volesse celare, invece, una volontà di adesione al commento diffamatorio. Tutto quanto appena visto è coerente con la tesi, già sposata dalla Corte Suprema, in riferimento ad una trasmissione televisiva in cui il conduttore aveva aderito alle tesi diffamatorie di uno dei suoi ospiti: nella sentenza 24627 del 21 gennaio 2016, un conduttore era stato condannato in concorso di colpa poiché, avallando una tesi espressa dai genitori di una ragazza assassinata, aveva offeso la reputazione del pubblico ministero assegnatario di un precedente procedimento nei confronti dell’omicida in cui non aveva chiesto l’adozione di misure cautelari, insinuando che tale magistrato calibrasse i propri impegni a seconda di chi si trovava davanti.

di Matteo Cotellessa

Giornalista Mediaset e cultore della materia di Diritto dell’informazione e Diritto europeo dell’informazione con il Prof. Ruben Razzante (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), fondatore del portale www.dirittodellinformazione.it

 

Tags: blogconcorso di colpaDiffamazione

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