Chiunque posta sui social network va trattato come un giornalista: deve rispettare l’essenzialità delle notizie e non pubblicare foto o testi lesivi della dignità delle persone malate. Altrimenti viola la privacy e le regole deontologiche dell’attività giornalistica. Come è capitato a una signora, ufficialmente ammonita dal Garante (provvedimento n. 206 dell’11/4/2024), per avere pubblicato, sui profili social Facebook e Instagram, post e immagini relativi alla figlia, rimasta paralizzata a causa dell’aggressione dell’ex fidanzato.
L’Autorità si è attivata a seguito di un reclamo presentato dall’amministratore di sostegno della ragazza rimasta paralizzata a causa dell’aggressione dell’ex fidanzato, che lamentava una violazione della normativa privacy in relazione alla diffusione sui social media di immagini e notizie riguardanti la salute e la vita privata della giovane, ad opera della madre. Nei post venivano inoltre riportati i fatti di cronaca di cui era stata vittima e alcune informazioni riservate, relative alle sue vicende processuali.
Il Garante, alla luce di quanto emerso nel corso dell’istruttoria, ha dichiarato il reclamo fondato. I post diffusi sul profilo social della madre ritraevano infatti la giovane nelle condizioni peculiari del suo stato di salute e senza alcuna forma di oscuramento, risultando così le immagini lesive della sua dignità. L’Autorità ha ritenuto invece che fosse lecito diffondere i post che non riportavano contenuti “crudi” in quanto rientranti nelle forme di libera manifestazione del pensiero.
Nel suo provvedimento il Garante ha ricordato che la diffusione di dati sulla salute è sottoposta alle Regole deontologiche che si applicano non solo a chi svolge attività giornalistica ma a chiunque pubblichi anche occasionalmente articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero. In particolare, le Regole deontologiche individuano limiti precisi alla diffusione dei dati sulla salute, stabilendo come principi cardini, il rispetto della dignità del malato, il diritto alla sua riservatezza e al decoro personale, specie nel caso di malattie gravi o terminali. Ciò anche nel caso in cui le foto e informazioni vengano utilizzate per denunciare la qualità di vita della persona malata o i relativi problemi di assistenza.
Nel definire il procedimento, il Garante per la protezione dei dati personali ha tuttavia ritenuto sufficiente la misura dell’ammonimento, poiché la madre aveva agito in buona fede con l’intento di riportare l’attenzione mediatica sulla condizione della figlia.
C.T.