Quando parliamo di intelligenza artificiale, in molti potrebbero pensare che questi sistemi, vista la loro complessa programmazione, risultino imparziali su molti temi e dunque non abbiano una vera e propria opinione. La realtà, però, ci restituisce uno scenario decisamente diverso.
Sono ormai numerosissimi i casi in cui l’IA si è mostrata tutt’altro che priva di un punto di vista e, al contrario, abbia spesso contribuito ad alimentare fenomeni di discriminazione di genere. Il modo in cui gli algoritmi vengono addestrati è il più delle volte alla base del problema ed è per questo che, in tutto il mondo, si è cercata e si sta ancora cercando una soluzione.
L’UNESCO, nel corso del Global Forum on the Ethics of AI, si è impegnata per far sì che i governi insistessero su una supervisione umana sempre più responsabile e intensa, per far sì che certi bias algoritmici non risultassero così frequenti.
Abbiamo poi assistito, nel corso di quest’anno, al Summit sull’Azione per l’IA, tenutosi a Parigi. Nel corso dell’evento, sono stati 58 i paesi che hanno deciso di impegnarsi per promuovere un’intelligenza artificiale più imparziale e inclusiva. Nei prossimi anni, l’obiettivo è rendere tale strumento meno incline alle discriminazioni di genere.
Ci sono poi gli Stati Uniti, sede di molte delle principali aziende che si occupano di IA. Per quanto ci siano stati alcuni interventi per contrastare il problema dei pregiudizi di genere alimentati dai software, alcune delle ultime politiche non si sono mostrate molto interessate alla tematica. Questo ha fatto preoccupare alcuni esperti, che invece insistono sulla necessità di investire in un’IA più giusta ed equa.
S.C.
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