Il disegno di legge sull’intelligenza artificiale, approvato in prima lettura al Senato il 20 marzo 2025, interviene in modo profondo e sistemico su alcuni pilastri dell’ordinamento, incidendo sulla giurisdizione civile e penale. L’obiettivo è regolamentare l’uso dell’AI nel sistema giuridico, assicurando un uso consapevole e controllato di strumenti che stanno rapidamente trasformando la società e le istituzioni.
Sul versante civile, l’articolo 17 modifica l’articolo 9 del Codice di procedura civile, stabilendo che tutte le controversie riguardanti il funzionamento di un sistema algoritmico saranno trattate esclusivamente dal tribunale ordinario, e non più dal giudice di pace, nemmeno nei casi meno gravi o di basso valore economico. Questa scelta punta a garantire una maggiore competenza tecnica e uniformità nelle decisioni, ma rischia di rendere l’accesso alla giustizia più difficile per i cittadini comuni, che potrebbero trovarsi a dover affrontare un processo più lungo, costoso e distante dal proprio territorio.
Sul piano penale, l’articolo 26 introduce una nuova aggravante: se un reato viene commesso utilizzando l’intelligenza artificiale, la pena può essere aumentata. Non serve che il mezzo tecnologico sia particolarmente sofisticato: è sufficiente che la sua presenza renda il reato più insidioso o difficile da contrastare. Questo impone al giudice di valutare non solo il fatto commesso, ma anche come l’uso dell’AI abbia inciso sulla gravità dell’azione.
Lo stesso articolo prevede inoltre una nuova figura di reato: la diffusione non autorizzata di contenuti deepfake, ovvero immagini o video manipolati digitalmente per simulare l’identità di una persona. Se questi contenuti causano un danno e sono diffusi senza il consenso del soggetto ritratto, diventano penalmente rilevanti. Si rafforza così la protezione dell’identità digitale, riconoscendola come parte della dignità personale.
Infine, il disegno di legge riafferma un principio fondamentale: l’intelligenza artificiale può affiancare il giudice, ma non può mai sostituirlo. Il processo resta, per sua natura, un’attività umana: ogni decisione deve essere comprensibile, motivata e presa da un magistrato in carne e ossa. Nessun algoritmo può o deve avere l’ultima parola su diritti, libertà o responsabilità delle persone.
A.C.
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