Prima del COVID, la qualità della vita era di gran lunga migliore. A guardare con rimpianto e nostalgia ai tempi pre-pandemia è ben il 46% degli italiani. Tra i cittadini prevale dunque il disfattismo sul proprio futuro ma non tutte le generazioni (come è accaduto più volte in questi mesi) sembrano pensarla alla stessa maniera.
Generazioni a confronto e talvolta in vero e proprio conflitto: è stato così fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria con l’ondata di polemiche sulla voglia di movida dei giovani e sul rientro a casa degli studenti fuorisede, additati come irresponsabili nei confronti di genitori, zii e nonni. È proseguito e continuerà senz’altro nei prossimi mesi con la crisi economica che ha ingigantito la frustrazione di milioni di ragazze e ragazzi, i più penalizzati dalle conseguenze sociali della pandemia.
Non si tratta di certo di problemi sconosciuti al nostro Paese. Tuttavia il virus li ha amplificati e ci ha messo una volta per tutte di fronte alla questione generazionale, rivelata in tutta la sua drammatica evidenza.
E allora ecco che anche le aspettative sull’Italia post-COVID scavano un fossato tra i più giovani e i più adulti.
A raccontarcelo è una rilevazione SWG che indaga le aspettative degli italiani sulla qualità della vita dopo la pandemia.
Da una parte il 46% dei cittadini non ha dubbi e dice che si stava meglio un anno fa, dall’altra il 21% sostiene invece che tra un anno le cose andranno addirittura in maniera migliore rispetto a prima.
Ottimisti contro pessimisti dunque ma anche Generazione Z contro Baby Boomers. Sì, perché le percezioni cambiano diametralmente se si considera il fattore anagrafico.
Infatti, la quota di chi guarda con nostalgia all’era pre-COVID cresce sensibilmente tra gli over 54 (oltre il 50%). Mentre ben il 31% dei giovani (18-24 anni) si dice convinto che il futuro sarà migliore rispetto al mondo che abbiamo conosciuto prima del virus.
Un’opportunità per migliorare il proprio tenore di vita. È questo che una porzione consistente di ragazze e ragazzi si aspetta dall’Italia dopo la pandemia. Ma attenzione ad abbandonarsi a facili entusiasmi: se in autunno non dovessero arrivare i segnali auspicati, la speranza generazionale rischia di trasformarsi in rabbia per un futuro ipotecato.