Google paga i danni morali per la mancata rimozione delle Url – relative a una notizia oggetto di una condanna per diffamazione – comprese quelle riferibili ai siti gestiti da altri motori di ricerca. E questo perché Google, come internet service provider, mette a disposizione degli utenti i riferimenti necessari per identificarli.
La Cassazione, nella sentenza n. 18430/2022, respinge il ricorso di Google Llc contro la condanna a pagare 25mila euro di danni morali a causa della sofferenza patita da un utente. L’uomo era stato preso di mira da un collega che, nel suo sito web, lo additava come parente di un mafioso. Notizia che si era ampiamente diffusa attraverso la rete e che era rimasta accessibile dopo la condanna per diffamazione del suo autore e la richiesta di deindicizzazione delle Url.
La Suprema corte conferma la responsabilità del colosso americano, certamente un hosting provider, ma corregge la motivazione del Tribunale che l’aveva fondata sulla clausola generale dell’articolo 2043 del Codice civile, che regola il risarcimento del danno ingiusto per fatto illecito. I giudici di primo grado, sbagliando, avevano infatti considerato inapplicabile il Dlgs 70/2003 che attua la direttiva sul commercio elettronico, considerandolo relativo solo alla memorizzazione di informazioni commerciali fornite da altri.
Invece, è una norma applicabile secondo la quale la responsabilità scatta quando l’hosting non si attiva immediatamente per disabilitare l’accesso alle informazioni illecite di cui ha avuto conoscenza. Ed è questo il caso di Google, intermediario tipico dell’informazione internet e, al tempo stesso, banca dati che gestisce il catalogo delle migliori pagine selezionate dal web e organizza informazioni.