Spesso l’aspetto più problematico in tema di diffamazione a mezzo di social network verte proprio sull’identificazione dell’autore del reato.
Se da un lato non vi sono particolari difficoltà nell’identificazione della vittima di diffamazione, lo stesso non può certamente dirsi con riguardo all’individuazione dell’autore dell’illecito.
Come noto, un profilo Facebook ben potrebbe infatti essere registrato con un nome di fantasia o addirittura di altra persona.
Sulla questione si è pronunciata la recente sentenza della Cassazione penale, sezione quinta, n. 24212 del 2021.
IL CASO
Nel fatto oggetto di pronuncia l’imputata veniva condannata sia in primo che in secondo grado per il reato di diffamazione aggravata per aver pubblicato su Facebook un post diffamatorio.
Il legale dell’imputata con ricorso per cassazione contestava l’effettiva riconducibilità del post offensivo alla propria assistita, essendo stata omessa ogni indagine sull’indirizzo IP e sui file di log.
In particolare la difesa evidenziava che solo l’accertamento dell’indirizzo IP (codice numerico assegnato dal servizio telefonico in via esclusiva ad ogni dispositivo elettronico al momento della connessione da una data postazione, al fine individuare il titolare della linea) e dei file di log (sui tempi e orari della connessione) avrebbe consentito “oltre ogni ragione dubbio” di attribuire la certa riferibilità del post alla ricorrente.
LA DECISIONE DELLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
La Cassazione ha statuito che la diffamazione via social network può configurarsi anche esclusivamente su base indiziaria a fronte della convergenza, pluralità e precisione di dati quali il movente, l’argomento del forum su cui avviene la pubblicazione, il rapporto tra le parti, la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell’imputata, con utilizzo del suo nickname, anche in mancanza di accertamenti circa la provenienza del post di contenuto diffamatorio dall’indirizzo IP dell’utenza telefonica intestata all’imputata medesima.
Viene altresì riconosciuta rilevanza all’assenza di denuncia di furto di identità da parte dell’intestataria della bacheca sulla quale è avvenuta la pubblicazione del post ingiurioso.
Pertanto non poteva essere esclusa la riferibilità del fatto alla ricorrente, quando, come nel caso in esame, pur non essendo stati svolti accertamenti sulla titolarità della linea telefonica utilizzata per le connessioni internet (indirizzo IP o file di log), risultavano elementi convergenti quali la provenienza del post dal profilo Facebook, che indicava il nome dell’imputata, nonché la circostanza che la stessa, venuta a conoscenza dei post, come testimoniato dal coniuge della vittima del reato, non abbia denunciato l’uso improprio del suo nome, prendendo le distanze dalle affermazioni diffamatorie.
I giudici di legittimità infine hanno evidenziato un ultimo aspetto fondamentale: deve attribuirsi valenza processuale anche al contenuto stesso dei post offensivi qualora questi richiamino, come nel caso di specie, fatti oggettivamente conoscibili da ben poche persone diverse dall’imputata.
CONSIDERAZIONI FINALI
Questa recente pronuncia della Cassazione penale, sezione quinta, n. 24212 del 2021, costituisce un importante revirement giurisprudenziale in materia di diffamazione.
In precedenza, infatti, la Suprema Corte aveva diversamente statuito che, in tema di diffamazione, la mancata verifica da parte dell’autorità giudiziaria dell’indirizzo IP di provenienza del contenuto lesivo, riferibile al profilo Facebook incriminato, non consente di procedere con il massimo grado di certezza possibile all’attribuzione della responsabilità per il reato di diffamazione, atteso che, mancando tale accertamento, non può escludersi l’utilizzo abusivo del nickname del presunto autore da parte di terzi, né risulta possibile verificare i tempi e gli orari della connessione (ex multis, cfr. Cassazione penale, sez. V, 5 febbraio 2018, n. 5352 e Tribunale di Rovigo sentenza n. 331 del 12/06/2019).