È ormai un anno che gli istituti scolastici chiudono e riaprono le porte agli studenti in maniera intervallata, creando solo grossi disagi.
Inizialmente, infatti, sono stati i primi a chiudere in quanto considerati luoghi di assembramento per eccellenza e la DAD è diventata la nuova normalità; dopo il primo lockdown di Marzo 2020 si era però sperato che a settembre le cose potessero tornare alla normalità, ma invece non è stato così.
Poche settimane di riapertura, i nuovi contagi e subito di nuovo studenti a casa. E così fino ad oggi, in un continuo di riaperture e chiusure che creano ormai enormi disagi non solo agli studenti ma anche ai genitori.
Se inizialmente le problematiche più diffuse sono state relative all’adeguamento ad una tecnologia di cui non tutti erano padroni, ai software e ai programmi consoni per svolgere al meglio la DAD, a distanza di un anno i problemi sono cambiati.
L’insofferenza dilaga, la socialità è ai minimi storici, l’apprendimento ormai passa per la mano di un omino alzata su uno schermo che segnala l’interesse nel fare una domanda ed inoltre quei genitori che si ritrovano ancora, a casa, in smart working non sono facilitati nel dover svolgere una vera e propria doppia professione.
Perché se prima c’era lavoro-casa e casa-lavoro adesso è un tutt’uno e tra una riunione e l’altra su skype con i colleghi bisogna aiutare i propri figli a riconnettersi alle lezioni perché la connessione è saltata.
Insomma, una situazione al limite del sostenibile.
Ed è per questo motivo che nelle settimane hanno preso il via una serie di manifestazioni nelle principali piazze Italiane, nel rispetto delle norme anti-contagio: nelle settimane scorse, da Trieste a Roma è esplosa la protesta di genitori, alunni ed insegnanti che sono scesi in piazza per chiedere il ritorno in aula, tra cartelle, zaini e striscioni.
Una delle frasi che più ha fatto riflettere è stata proprio “La campanella deve tornare a suonare”, simbolo per eccellenza del conto alla rovescia per la fine delle lezioni. Ma oggi, a poco più di un anno dall’arrivo del Covid-19, la speranza più grande è per l’avvio delle lezioni.
Il governo ha Draghi ha disposto già da oggi la riapertura graduale degli istituti scolastici fino alla prima media, nella speranza che questa sia la riapertura definitiva. E se per la scuola qualche speranza ancora c’è, la situazione invece non cambia per Università ed universitari, una delle categorie più abbandonate di tutti.
L’obiettivo primario, infatti, è sempre stato la tutela dei minori e del rapporto maestra-alunno al fine di non far perdere a bambini così piccoli il piacere e la gioia di scoprire, esplorare ed apprendere nel contesto scolastico.
Ma agli universitari qualcuno ci ha pensato?
Migliaia e migliaia di studenti fuori sede hanno abbandonato la regione in cui si erano trasferiti per studiare e sono ormai a casa da un anno; non c’è più l’ansia e la trepidazione di andare a sostenere un esame in sede, il piacere di scambiare due chiacchiere fuori dall’aula prima di entrare a lezione, e nemmeno l’interesse per un colloquio di persona con un professore: ormai è tutto dietro uno schermo.
E l’apatia prende lentamente il sopravvento.
I provvedimenti devono essere immediati, altrimenti la situazione rischia di non essere più recuperabile.