La sentenza del 28 luglio 2023 ha ritenuto un uomo responsabile del reato di stalking commesso mediante condotta molesta riferibile all’invio di un messaggio WhatsApp contenente immagini e video a sfondo sessuale della vittima.
Con ricorso per Cassazione l’imputato contestava la riconducibilità della condotta di “molestia”, evidenziando l’impossibilità che un unico invio di messaggio potesse essere considerato tale. Gli ermellini hanno, però, ricordato come l’elemento materiale della “molestia” sia costituito dall’interferenza non accettata che alteri dolosamente, fastidiosamente o importunamente, in modo immediato o mediato, lo stato psichico di una persona. Inoltre, la molestia può sussistere anche con una sola azione, purché particolarmente sintomatica dei motivi specifici che l’hanno ispirata.
La difesa dell’imputato aveva obiettato che la nozione di mezzo telefonico, presente sul Codice per il reato di stalking, fosse estesa a quella di mezzi telematici (come WhatsApp). La Cassazione ha però sentenziato che la rilevanza sta nel carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere o prevenire l’azione perturbatrice; ne consegue che costituisce molestia anche l’invio di messaggi telematici, siano essi di testo (SMS) o messaggi WhatsApp (Cass. Pen. Sez. I, 18 marzo 2021, n. 37974).
In conclusione, la sentenza della Cassazione recita: «In tema di atti persecutori, rientra nella nozione di molestia qualsiasi condotta che concretizzi una indebita ingerenza od interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima, attraverso la creazione di un clima intimidatorio ed ostile idoneo a compromettere la serenità e la libertà psichica» (sentenza 28 luglio 2023, n. 32946).
F.S.