Nel 2009 un settimanale, facendo riferimento ai dati delle presenze al parlamento di Strasburgo, aveva definito “Eurofannulloni” i parlamentari italiani eletti nelle circoscrizioni europee. Questi erano anche stati indicati come i più pagati ed i meno produttivi, pronti a “fuggire” prima della fine del mandato.
La Corte d’Appello ha ritenuto l’epiteto “eurofannullone” basato sui dati che registravano una presenza, da parte degli europarlamentari italiani, inferiore alla media degli altri paesi. Nell’articolo si sottolineava l’assenteismo alle sedute plenarie del lunedì, durante le quali, pur non votando, venivano discussi importanti dossier su energia, commercio, economia e discriminazione etnica. Secondo i giudici tali elementi «seppure non univocamente sintomatici di uno scarso impegno, si prestavano tuttavia ad essere valutati in tali termini e possono giustificare una critica, da parte del giornalista, quale quella icasticamente espressa con il termine “eurofannullone”».
La sentenza 12984 della Cassazione ha confermato quanto statuito dalla Corte d’Appello stabilendo che, quando supportata da riscontri, la parola “fannulloni” rientra nel diritto di critica. L’epiteto, infatti, non supera il limite della continenza richiesto e rispetta la verità della notizia. In aggiunta, riguardo il tema trattato sussisteva anche l’interesse. Nella sentenza, infatti, si legge: «L’impegno degli europarlamentari italiani nello svolgimento delle loro funzioni risponde evidentemente ad un interesse pubblico diffuso».