Il caso di cronaca nera di Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023, ha riacceso i riflettori sulla violenza sulle donne e sui femminicidi che continuano a essere tra i principali argomenti di discussione.
Alla luce di quello che è successo alla 22enne, la giornalista Federica Serrao e il professor Colin Porlezza (professore assistente senior di giornalismo digitale dell’Università della Svizzera italiana, USI, ndr)si sono posti l’interrogativo del rapporto che si crea tra i femminicidi e i media, tra spettacolarizzazione, influenze e responsabilità.
La cronaca nera in Italia, e in particolar modo quella legata agli omicidi sulle donne, ha una maggiore visibilità e guadagna maggiore spazio nei programmi televisivi rispetto al passato.
“Non tutti i femminicidi vengono effettivamente coperti con lo stesso peso, o nella stessa maniera” afferma il professor Porlezza. “Alcuni femminicidi, come quello di Giulia Cecchettin, si prestano più facilmente a una specie di spettacolarizzazione per la presenza di un mistero o di un giallo, magari anche perché contengono degli elementi macabri o scabrosi. Capita invece che in alcuni casi, per esempio quando a essere uccise sono donne anziane, la vicenda venga tematizzata come caso individuale, e la notizia non ha una forte eco mediatica” evidenza Porlezza.
Quando si parla di omicidi e in particolare modo di femminicidi bisogna porre una certa attenzione al modo in cui vengono affrontate e trattate le tematiche di questo genere a seconda del Paese in cui si verifica il delitto. Infatti, dal 2013 in Italia sono stati approvati diversi piani antiviolenza, decreti legge e una commissione d’inchiesta specifica sul fenomeno del femminicidio.
I media rappresentano i femminicidi principalmente in tre modalità, una delle quali è il “femminicidio ad alto profilo di notiziabilità”. Questo tipo di cronaca si distingue per l’elemento del mistero, che crea una trama narrativa simile a un giallo. La copertura giornalistica spesso mescola ricostruzioni, intrecci e ipotesi, trasformando il fatto di cronaca in una narrazione quasi letteraria.
Un altro aspetto, spiega Porlezza (che riguarda anche la Svizzera, ndr), è quello di vedere queste tragedie in un’ottica quasi di cronaca routinaria e di normalità. Nello specifico, il professore svizzero sottolinea che si tratta di femminicidi che non hanno le particolari caratteristiche di notiziabilità. Di conseguenza la cronaca si trasforma in un racconto della vicenda. Il racconto si sviluppa attraverso la ricerca di colpevoli, reali o presunti, e si intreccia con elementi narrativi «spesso stereotipati», ricorrendo a espressioni e cliché come l’amore malato, la paura dell’abbandono, i raptus, la gelosia e le presunte provocazioni.
«Spesso, come dimostrano le ricerche dell’iniziativa STOP Femminicidio in Svizzera, i nostri media – ma anche quelli dei Paesi germanofoni – sono meno inclini a una spettacolarizzazione, ciò nondimeno presentano spesso delle problematicità, ad esempio raccontano questi eventi trattando la violenza come un elemento che appartiene per lo più alla sfera privata o come problema di una coppia». Ci si concentra spesso sull’autore del reato, lasciando da parte il punto di vista della vittima o dei parenti.
Il modo in cui i media trattano i femminicidi è spesso problematico, con coperture sensazionalistiche che rischiano di banalizzare casi delicati. Materiali come foto prese dai social della vittima o dell’aggressore aggiungono dinamismo al racconto, ma in modo inappropriato. Linee guida raccomandano un approccio responsabile, focalizzato sull’informazione e sulla prevenzione, evitando stereotipi o giustificazioni per il crimine. Un femminicidio è un atto criminale e non può essere collegato a sentimenti come l’amore o la sessualità.
M.P.