Il giornalismo è stato all’altezza della sfida senz’altro più grande e più ardua della storia repubblicana, cioè di raccontare i tempi e i temi dell’epidemia da Coronavirus? Al solito è difficile dare una risposta o un giudizio generale su migliaia di articoli, file, collegamenti, interviste, post, link, titoli etc. Però un’osservazione di fondo si può già formulare.
Il giornalismo lombardo ha dato il meglio di sé nel lavoro di testimonianza e di cronaca, sfidando difficoltà, divieti (di parlare con le fonti: ci sono stati anche e soprattutto quelli)), rischi (non ultimo quello di contagio), con il passar dei giorni e l’aggravarsi della pandemia è riuscito anche a sintonizzarsi mirabilmente sulle frequenze dell’inchiesta per superare narrazioni embedded monocordi.
Sul resto invece luci e ombre. Il dovere deontologico di non ricorrere a sensazionalismi, tantopiù in situazioni di pericolo per la salute collettiva, raramente è stato osservato all’inizio dal mainstream; il rispetto della privacy dei malati ha registrato talvolta scivolate; la selezione degli ospiti di trasmissioni televisive giornalistiche (ma soprattutto quelle di infotainment, che hanno alle spalle redazioni giornalistiche) non sempre è stata all’altezza della missione né soprattutto utile a orientare il pubblico.
Ma a confondere l’opinione pubblica e a provocare reazioni irrazionali sono state purtroppo le notizie non complete, non verificate o non attendibili, iniziando dal caos sui decreti governativi di lockdown che, come tutti ricordiamo, avevano generato anche fughe notturne di massa, oltre ad assalti a supermarket.
Ricerca scientifica e relativi, presunti risultati sono però il tasto dolente: nella foga di offrire ogni giorno news sbalorditive e/o confortanti e/o allarmanti si è dato spazio a ogni tipo di tesi e controtesi, dalla lunghezza del droplet all’utilità delle mascherine (e quali), dalle ricerche sui vaccini alle stime sul contagio effettivo fino alle decine di sperimentazioni di farmaci presentate ognuna come decisiva, a dispetto di qualsiasi protocollo scientifico.
Una serie di scivolate e ricadute sul tema che dovrebbero insegnare, già in prima battuta, che in tempi di pandemia la corsa allo scoop fa solo danni. Anche online, il valore del giornalismo si misurerà sempre più con l’autorevolezza (cioè: sobrietà e verifica), non con i clic, neppure con Googletrend e men che meno con il cronometro.