La scena è sempre la stessa: un’aula che non è quella del tribunale, ma di uno studio TV. Luci accese, opinionisti schierati, microfoni puntati. L’imputato non ha nome, ma un’etichetta. La vittima non ha storia, ma una frase. uno sguardo, un’emozione da mandare in loop, per alimentare la spettacolarizzazione. Benvenuti nella giustizia da prima serata, dove la verità si misura in share e la presunzione di innocenza crolla sotto il peso dei like.
La giustizia non è un reality show: a dire basta è l’Organismo Congressuale Forense (OCF), la voce politica dell’avvocatura italiana. Trasformare i processi penali in format televisivi, con giudizi in diretta e sentenze anticipate da opinionisti, non è solo un problema di stile. È una minaccia concreta al diritto alla presunzione di innocenza, che viene messo in crisi dalla pressione dell’opinione pubblica deformata da talk show e approfondimenti sensazionalistici. Ogni volta che un processo si trasforma in spettacolo, si sacrifica il diritto per il “plot”.
Il danno è duplice: da un lato di delegittima la funzione dei giudici, dall’altro si indirizza l’opinione pubblica verso verità prefabbricate. Il tribunale dello share non conosce la fatica delle prove, l’ambiguità dei fatti, la complessità del dubbio. Decide per istinto, vota per simpatia, condanna per convenienza.
Non solo i media, nel mirino dell’OCF finiscono anche avvocati e consulenti, colpevoli, talvolta, di alimentare questo circo mediatico, dimenticando il dovere deontologico di discrezione e rigore. “La giustizia si amministra nei tribunali, non nei salotti televisivi”, ricorda l’OCF.
L’appello è chiaro e diretto: più sobrietà nel racconto giudiziario, rispetto per le persone coinvolte, senso del limite. Nessuna richiesta di censura, ma un invito alla responsabilità rivolto a giornalisti, professionisti del diritto e istituzioni.
Serve, afferma l’OCF, recuperare un’etica del racconto, in cui l’informazione giuridica non si confonda con l’intrattenimento. Perché quando i diritti si piegano all’audience, a perdere non è solo l’imputato: è l’intero sistema democratico.
A.C.