I nostri smartphone e dispositivi di assistenza vocale hanno microfoni sempre attivi, anche se in uno stato “dormiente”. Questi si attivano appena rilevano un comando specifico, si pensi ad esempio al classico “Ehi, Siri” o “Ehi, Google”. L’idea è che il dispositivo sia sempre pronto a rispondere e offrire assistenza in tempo reale. Tuttavia, l’ipotesi che questi dati vengano anche utilizzati per altri scopi, come il targeting pubblicitario, è vera.
Infatti, grandi compagnie come Google, Meta e Amazon hanno creato i loro imperi grazie alla pubblicità mirata, che propone all’utente ciò di cui ha bisogno in quel preciso momento. Tutto quello che visualizziamo, cerchiamo e postiamo può essere un’informazione importante per costruire il nostro profilo da consumatori.
Grazie alla profanazione e all’analisi di grandi quantità di dati, un’AI avanzata sarebbe in grado di intuire quello che desideriamo, o addirittura ciò che stiamo per pensare. Più sono i dati raccolti dall’algoritmo, più precisa sarà la previsione.
Questi modelli ci considerano parte di un gruppo, di cui osservano e riproducono i comportamenti. Anticipano così i nostri bisogni, poiché comprendono le dinamiche del gruppo a cui apparteniamo.
La questione della “violazione dei dati”, o “data breach”, ci ricorda che ogni volta che un dato personale viene modificato, perso, distrutto, diffuso senza il nostro consenso, viene violata la nostra privacy. In molte situazioni però, cediamo questi dati volontariamente, magari senza essere pienamente consapevoli delle conseguenze.
M.M.