Il contrasto alla disinformazione sui nuovi media è diventato l’impegno principale dell’Unione Europea e trova conferma anche nel Digital Services Act (D.S.A.), entrato pienamente in vigore il 17 febbraio di quest’anno. Il D.S.A. ha l’obiettivo di riformare lo spazio digitale europeo in un ambiente digitale sicuro ed affidabile, per consentire agli utenti di Internet di esercitare i loro diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti dell’Unione, in particolare la libertà di espressione e di informazione. A ben vedere, il testo è stato adottato dall’organismo sovranazionale per creare un ambiente informativo il più possibile affidabile per i cittadini e anche per tutelare gli interessi generali.
In generale il D.S.A. introduce una più stringente serie di vincoli che incidono sulla libertà di espressione e di informazione e prevengono i rischi sistemici sulla democrazia connessi alla disinformazione o alla pubblicazione di contenuti illegali. Nel testo del regolamento si individuano alcune misure di carattere procedurale relative al cd. notice and takedown dei contenuti e alla possibilità di contestare le decisioni di moderazione dei contenuti delle piattaforme. In particolare, va ricordato come il regolamento attribuisce a qualsiasi persona o ente la possibilità di segnalare alle piattaforme online la presenza al loro interno di contenuti illegali (art. 16). A questi stessi operatori è affidato il compito di svolgere i necessari accertamenti e ad adottare, eventualmente, una decisione motivata di rimozione delle informazioni o di disabilitazione dell’accesso alle stesse (art. 17). Esse, inoltre, devono predisporre un sistema interno di gestione dei reclami (art. 20). Il soggetto reclamante, qualora non sia soddisfatto dell’esito, può inoltre richiedere l’intervento di «un qualunque organismo di risoluzione extragiudiziale delle controversie» e che non esclude, comunque, il ricorso all’organo giurisdizionale competente in base al diritto dello Stato membro (art. 21).
Nel complesso l’impatto del testo del regolamento è assai modesto e poco risolutivo perché contrassegnato da una ottica esclusivamente procedurale: tanto è vero che la nozione di contenuto illegale, che viene precisata, va distinta da quella di disinformazione che invece non trova una definizione e per la quale si rinvia all’insieme degli atti di soft law.
Orbene, il regolamento D.S.A. ha certamente il merito di provare a limitare l’arbitrio delle Big companies della rete mediante la costruzione di un sistema reticolare, costantemente monitorato, di doveri progressivi – in ragione della grandezza della piattaforma – volti a salvaguardare taluni interessi pubblici o specifici diritti individuali. La libertà di manifestazione del pensiero, però, rischia così di sbiadire, risultando subordinato all’adempimento di doveri procedurali da parte del soggetto che mette a disposizione il mezzo di diffusione. Il carattere fondamentale della libertà di espressione viene perimetrato non soltanto dalla legislazione ma sottoposto al controllo preventivo da parte del titolare della piattaforma, il quale agisce non più in virtù di una policy contrattuale ma in conformità a un obbligo di legge.
Procedendo in questa maniera, aumentano i poteri delle piattaforme e si assiste ad una inedita collaborazione tra poteri pubblici e privati proprietari delle piattaforme. Resta nell’ombra la natura individuale della libertà di manifestazione del pensiero, funzionale allo sviluppo della persona e si accentua la sua natura democratica-funzionale. Quando il D.S.A. infatti affida alle piattaforme il compito di rimuovere alcuni contenuti, il diritto dell’utente ad una motivazione e al reclamo sfiorano appena la tutela costituzionale prevista per la libertà di manifestazione del pensiero.
In conclusione, il sistema proposto dal D.S.A. pone ineludibili questioni di compatibilità con i disposti dell’art. 21 Cost., sebbene riferite soltanto alla comunicazione a mezzo stampa: il divieto di controllo preventivo sui contenuti da diffondere, sia sotto forma di censura che di autorizzazione; la riserva di legge in materia di limiti opponibili ex post alla diffusione dello stampato; infine, la riserva di giurisdizione in merito al giudizio sulle violazioni della legge.
Tali debolezze riconducono inevitabilmente alla legittimità della normativa comunitaria e alla questione della possibilità di esercizio, da parte del giudice nazionale, dei controlimiti a tutela del nucleo indefettibile della sovranità dello Stato, ogni qualvolta tale nucleo possa apparire pregiudicato dall’impatto immediato della legislazione europea. Quello di cui vi sarebbe bisogno è di ridimensionare i poteri pubblici e privati in relazione all’obiettivo di pieno sviluppo della persona che non può sottostare a interessi generali.
di Giulia Papa, dottoranda di ricerca Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale