Intervistato da www.dirittodellinformazione.it, Roberto Bichi, Presidente del Tribunale di Milano, parla di misure di cautela anti-Covid e di processo civile telematico.
1) L’imprevista risalita dei contagi pone nuove incertezze sulla riorganizzazione degli uffici giudiziari e sulla ripartenza complessiva della macchina giudiziaria. Come pensate di affrontare questa nuova situazione di incertezza? Ci sono novità rispetto a quanto avevate immaginato a giugno-luglio?
L’incertezza sul possibile riaccendersi della virosi impone di mantenere ancora a lungo le misure di cautela adottate in questi mesi. Quindi misurazione della temperatura, uso di protezioni delle vie respiratorie, mantenimento delle distanze all’interno del Palazzo di giustizia, isolamento per i “contatti diretti” . Proprio per consentire la celebrazione “in presenza” di processi che prevedono la partecipazione di decine di soggetti il Tribunale ha recuperato alcune aule “bunker” dismesse e non utilizzate in questi ultimi anni, che possono accogliere sino a cento persone. Inoltre cerchiamo di recuperare ulteriori ampi spazi, che integrino le 33 aule di cui possiamo fruire nel Palazzo e che permettono, ciascuna, l’allocazione di circa venti persone con distanziamento Covid.
Per altro, tale necessità di cautela e gli obblighi di protezione anti virosi non possono costituire esigenze “tiranne”, tali da soffocare la non minore esigenza di riprendere l’attività giurisdizionale cercando di tornare a un servizio-giustizia sempre più sugli standard ordinari. Il Tribunale ha sostanzialmente retto nel periodo emergenziale: nel primo semestre 2020 vi è stato un inevitabile calo di produttività, ma esso si è assestato intorno alla media del 40%. Da lì ripartiamo, ma per recuperare.
2) Il Ministro Bonafede ha annunciato che il processo civile telematico diventerà a breve realtà condivisa e uniforme. Che opinione ha maturato in proposito e quali ostacoli vede all’estensione della digitalizzazione anche al processo penale?
Spero che l’indicazione del Ministro trovi attuazione. Vi sono interi settori, di forte rilievo quantitativo (Giudice di pace), dove ancora non vi è il PCT. Il Lavoro agile del personale non è organizzato con una reale interazione tra posto di lavoro domestico e registro informatico delle cause.
L’estensione della digitalizzazione al processo penale è indispensabile per quanto riguarda tutta l’attività preparatoria e di comunicazione funzionale all’udienza. Ben possono digitalizzarsi gli atti, creare archivi informatici, consentire la trasmissione di tali atti tra cancellerie, P.M. e avvocati. Può, in certi limitati casi, procedersi anche sulla strada del “processo a distanza” con mezzi audiovisivi (es. escussione di testi secondari, di agenti verbalizzanti che risiedono lontano). Ma il momento del confronto dialettico, dell’assunzione delle prove rilevanti non può che essere in presenza, davanti al giudice: il processo penale è e deve rimaner un processo di e fra persone.
Comunque parlare di digitalizzazione dei servizi penali ha significato se – diversamente che nell’attualità – vi sono visioni d’insieme, progetti e programmi coerenti, forti investimenti in risorse materiali e umane, tecniche e tecnici informatici che aggiornino e prestino assistenza continua.
3) Il presidente nazionale dei giovani avvocati ha proposto, in una recente intervista rilasciata al portale www.dirittodellinformazione.it, l’istituzione di una sorta di “manager del Tribunale”, che possa velocizzare i processi di riorganizzazione degli uffici giudiziari. Lei che ne pensa?
I problemi non si risolvono evocando qualche slogan. Ben vengano, se ci sono, bravi manager per gestire le immense problematiche logistiche, manutentive, informatiche, di sicurezza, di organizzazione del lavoro amministrativo; ma anche tali manager avrebbero la necessità di avere una diretta gestione di risorse economiche e di figure tecniche (attualmente inesistenti per i capi degli uffici) e di strumenti normativi che non soffochino burocraticamente ogni capacità di iniziativa. Se tali strutture manageriali riuscissero davvero a rendere efficienti ed effettivi i servizi funzionali alla giurisdizione, già questo permetterebbe un enorme aumento della produttività dei giudici, che potrebbero concentrarsi nell’attività loro propria (studiare e decidere le cause) e non disperdere energie e tempo in attività che la stessa Costituzione (art. 110) riferisce obbligatoriamente ed esclusivamente alle competenze amministrative del Ministero della giustizia.
Invece, se si evoca un manager esterno che pretendesse di dirigere i giudici e di organizzare i loro ruoli giurisdizionali, mi sembra un’ipotesi davvero extra ordinem, sostanzialmente inammissibile sotto il profilo costituzionale ed anche velleitaria e inadeguata rispetto allo scopo.