Il giornalismo di qualità, che pure ha offerto molteplici esempi di correttezza e completezza durante la pandemia, raccontando pagine buie e tragiche della storia d’Italia con equilibrio e rispetto della dignità dei protagonisti, nelle ultime ore ha registrato alcune performance davvero deplorevoli e che lasciano alquanto sconcertati.
Se per giornalismo di qualità si intende quell’informazione prodotta professionalmente da operatori iscritti all’Ordine dei giornalisti e impiegati in titolate testate cartacee e on-line, possiamo senza ombra di smentita considerare deprecabili le prove offerte da Paolo Berizzi, di Repubblica, con un tweet di “solidarietà” ai veronesi colpiti dal nubifragio sul proprio profilo Twitter, e dai giornalisti del settimanale Gente, che hanno pubblicato il corpo in bikini della tredicenne Chanel Blasi, secondogenita di Francesco Totti e Ilary Blasi.
Due casi di giornalismo spazzatura che non potranno lasciare indifferenti i consigli di disciplina competenti per territorio, in relazione al luogo di residenza dei giornalisti responsabili.
Oltre che offrire spunti in materia di mercificazione del corpo della minorenne figlia di vip, il caso Totti-Blasi richiama i contenuti della Carta di Treviso, che fin dal 2005 (due anni prima che la stessa Chanel Totti venisse al mondo) impone ai giornalisti di non rendere riconoscibili i minori se non nei casi di scomparsa, al fine di facilitarne il ritrovamento, o di good news di interesse sociale (primo giorno di scuola, vittorie in concorsi e occasioni pubbliche, esibizioni e manifestazioni popolari), previa autorizzazione dei genitori. Il parametro dell’essenzialità dell’informazione, alla base dell’esercizio del diritto di cronaca, vieta ai giornalisti di alimentare la curiosità morbosa rispetto a situazioni che non hanno alcun rilievo pubblico. Inoltre, la tutela della dignità umana funziona come argine invalicabile in casi del genere, che rischiano di produrre una svalutazione indegna della persona, peraltro minorenne. Non è dunque solo una questione di sensibilità umana ma anche di correttezza deontologica dei giornalisti e di rispetto delle norme sulla privacy e sul diritto all’immagine. Da questo punto di vista appare assolutamente fondata l’iniziativa del Movimento genitori (Moige), che ha denunciato il settimanale “Gente” all’Ordine dei giornalisti. Quest’ultimo ha peraltro deciso di segnalare al consiglio di disciplina competente la posizione del direttore responsabile, Monica Mosca <per valutare la sussistenza di eventuali violazioni deontologiche>.
Verte su altro, invece, il caso Berizzi, che ha già inevitabilmente scatenato feroci polemiche nel web. All’indomani del nubifragio di Verona, di qualche giorno fa, Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica, che peraltro vive sotto scorta dall’anno scorso a causa delle minacce ricevute dopo alcune inchieste sui movimenti neofascisti, ha pubblicato il seguente tweet, poi rimosso: <Sono vicino a #Verona e ai veronesi per il nubifragio che ha messo in ginocchio la città. I loro concittadini nazifascisti e razzisti che da anni fomentano odio contro i più deboli e augurano disgrazie a stranieri, negri, gay, ebrei, terroni, riflettano sul significato del karma>.
Immediata la reazione di Daniele Polato, Assessore alla sicurezza e alla protezione civile di Verona e candidato con Fratelli d’Italia alle prossime regionali del 20 e 21 settembre: <Un vile insulto a una Verona in ginocchio. Parole di una vergogna inaudita, da lui bassezza morale infinita. Nelle ore drammatiche in cui Verona cerca di reagire, lui vede nazisti e razzisti dappertutto e vomita insulti ai veronesi parlando di karma. Qui si è superato il limite della decenza umana>.
In effetti, associare al nazi-fascismo una tragedia naturale come un nubifragio è davvero un atto meschino che qualifica chi lo compie. Anche Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha espresso il suo sdegno: <Solo io reputo gravissimo e inaccettabile che un giornalista si esprima con simili termini nei confronti di una comunità colpita da una calamità? Ma un briciolo di vergogna no?!>.
La rimozione del tweet (non si capisce se su iniziativa dell’interessato o di Twitter), sostituito da un altro tweet di scuse da parte di Berizzi, ripara solo in minima parte il danno. <Sono sicuro che la maggioranza dei veronesi, a differenza di una minoranza di odiatori seriali ben noti in città, abbia capito il senso del mio messaggio. Ribadisco la mia piena, totale e incondizionata solidarietà a tutti i cittadini di Verona colpiti dal nubifragio ieri>, ha scritto successivamente il giornalista.
Le parole di Berizzi pesano come un macigno sulla sua credibilità professionale e non lasciano dubbi sull’opportunità di aprire un procedimento disciplinare nei suoi confronti, con la possibilità di comminare una sanzione anche grave come la sospensione dalla professione o gravissima come la radiazione.
Per frasi di analogo tenore in passato alcuni consiglieri comunali di destra si sono dovuti dimettere, anche dopo aver chiesto scusa. Berizzi vive sotto scorta, ricevendo dallo Stato una tutela speciale. E’ alquanto disdicevole che violi le leggi dello Stato, istigando all’odio e alla violenza, come ha fatto in quel tweet. I contenuti del suo primo tweet sono da censurare da ogni punto di vista. E poi la giurisprudenza in materia di violazione dei diritti in Rete è costante nel considerare insufficiente la rimozione di un contenuto diffamatorio per azzerare le responsabilità dell’autore. Rimane comunque, anche in caso di pentimento o marcia indietro, il danno provocato dalla diffusione, per ore o per giorni, di un commento lesivo dei diritti altrui.
Inoltre, c’è tutto il profilo deontologico, gravemente compromesso dalle sue esternazioni. Lui ha violato alcuni dei principi fondamentali alla base dell’esercizio della professione giornalistica, in primo luogo il rispetto delle norme dettate a tutela della personalità altrui (le sue frasi sono gravemente diffamatorie e lesive della dignità del popolo veronese), richiamato all’art.2 della legge professionale n.69 del 1963, che ha istituito la deontologia e l’Ordine dei giornalisti. In secondo luogo ha violato l’art.2 del Testo unico dei doveri del giornalista (2016), che impone al giornalista di rispettare i principi deontologici anche quando scrive sui propri profili social. Il giornalista ha acquisito una notorietà grazie alla sua attività giornalistica ed è chiamato a dimostrarsi coerente con i suoi valori anche quando pubblica commenti su Twitter o altre piattaforme. Il giornalista, al pari di tutti i cittadini, ha il diritto di manifestare il proprio pensiero anche sui social, purchè non dimentichi di essere giornalista e di essere vincolato al rispetto delle norme deontologiche previste per il corretto esercizio del diritto di cronaca. Se non lo fa, cioè se considera quei profili social zone franche da trasformare in sfogatoi delle proprie pulsioni personali, non solo perde credibilità personale, ma la fa perdere all’intera categoria.