Si è molto parlato nei giorni scorsi dell’ultima esternazione di Giuseppe Conte. Sabato sera il premier ha scelto Facebook per parlare agli italiani, con i prevedibili rimbalzi sugli altri mezzi di informazione, in particolare la tv, che ha mandato in onda attraverso i suoi canali la diretta di Giuseppe Conte su quella piattaforma social.
Il suo intervento era annunciato per le 22,45, ma è slittato di circa 40 minuti, con inevitabili ripercussioni sul piano emotivo. Milioni di italiani, già depressi per la prolungata quarantena obbligatoria, hanno vissuto l’attesa snervante innescata dall’anticipazione dei conduttori televisivi. Ore di angoscia, paura, preoccupazione, psicosi per poi ascoltare un monologo di circa 10 minuti sull’ennesima stretta alle nostre libertà individuali. Nulla di particolarmente nuovo ed eclatante e sicuramente nulla che giustificasse l’ennesimo cedimento al sensazionalismo mediatico.
Si dirà che questo non è il momento delle polemiche. Un conto, però, è fomentare polemiche, gettare benzina sul fuoco, essere disfattisti, altra cosa è esprimere giudizi sullo stile di comunicazione utilizzato in questi giorni dai politici che hanno praticamente in mano le chiavi delle nostre vite. E siccome si tratta di rilievi e valutazioni che possono anche portare un cambiamento migliorativo dei rapporti tra Stato e cittadini, inutile aspettare la fine dell’emergenza per esternarli.
Occorre dunque chiedersi quale possa essere la finalità dello stile comunicativo scelto da Palazzo Chigi fin dallo scoppio dell’allarme Covid-19. Ormai la gente è tutta tappata in casa e attende solo che le pesanti restrizioni producano effetti in termini di riduzione dei contagi e dei deceduti. Sabato sera, quindi, è apparsa un tantino fuori luogo la decisione del premier di preannunciare l’ennesimo decreto, peraltro diffuso e firmato soltanto 24 ore dopo quella diretta Facebook.
Se l’obiettivo del Presidente del Consiglio era quello di diffondere una comunicazione unidirezionale, cioè top down, dall’alto verso il basso, sarebbe bastato un comunicato ufficiale da inviare a tutti i mezzi di informazione. Ne avrebbero dato lettura i conduttori dei telegiornali, ne avrebbero riferito tutti i quotidiani del giorno dopo e per i cittadini non sarebbe cambiato nulla.
Se invece l’obiettivo era quello di continuare a riaffermare la centralità della sua figura nella gestione dell’emergenza, allora va obiettato che, in una fase in cui si continua a dire che bisogna fare squadra, la scelta di mostrare un uomo solo al comando assume tratti financo un po’ offensivi. Tanto più se quella iniziativa si consuma su un canale social (non sulla tv di Stato) e senza la possibilità del contraddittorio, cioè senza la possibilità per i giornalisti di rivolgere domande al premier da remoto, da casa.
In molti hanno l’impressione che la comunicazione governativa stia sempre più assumendo toni propagandistici, con un imbarazzante risvolto di controllo sociale, che nulla aggiunge alla gravità della situazione e alla necessaria comunicazione istituzionale, che dovrebbe invece seguire canali e modalità diverse, senza terrorizzare l’opinione pubblica e senza mirare alla visibilità di qualcuno a scapito degli altri.
Da questo punto di vista può rappresentare un riferimento positivo Guido Bertolaso, nominato consulente gratuito del governatore della Lombardia, Attilio Fontana, che probabilmente sarebbe stato utile all’Italia intera e non solo alla Regione Lombardia. Bertolaso, fin da quando ha messo piede a Milano, ha subito chiesto ai giornalisti di non cercarlo, di non intervistarlo. Ha detto: <Cari giornalisti, non mi cercate, devo lavorare>. Grazie al suo silenzioso e generoso impegno e a quello di tanti benefattori che hanno contribuito alla realizzazione dell’ospedale da campo nei padiglioni della Fiera di Milano, oggi l’Italia può brindare a una conquista concreta, che dà speranza a tanti malati di coronavirus. Senza sirene, senza autocelebrazioni, senza ambientazioni da Grande Fratello.
Fermo restando l’obbligo morale di mantenere uno spirito costruttivo in questi giorni difficili, è giusto però non subire passivamente e acriticamente stili comunicativi che non sono pensati per il bene della collettività ma rispondono ad altre logiche. Se ai cittadini viene chiesto di rispettare rigide regole di comportamento, chi governa è chiamato a rispettare le più elementari regole della democrazia rappresentativa, la prima delle quali è il pluralismo delle voci in funzione del bene comune. Senza dimenticare la tutela del fondamentale diritto alla salute anche psichica degli italiani, che si garantisce anzitutto evitando clamori eccessivi, annunci altisonanti e quella sorta di terrorismo mediatico al quale stiamo assistendo da settimane in una sorta di escalation dai toni apocalittici.
E questo vale per il protagonismo di chi sta al governo, ma anche per quello di governatori, sindaci e leader di partito, di maggioranza e di opposizione, che per un pugno di voti in più pensano di strumentalizzare anche l’emergenza, che è una tragedia collettiva.