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“L’INFORMAZIONE-SPETTACOLO NON AIUTA LO SVILUPPO DEL PENSIERO CRITICO”

Intervista alla professoressa Sara Rubinelli che, nel suo ultimo libro, "Il valore della scienza", approfondisce i principi della corretta comunicazione delle verità scientifiche

by Redazione
25 Marzo 2022
in Libertà d'informazione
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“L’INFORMAZIONE-SPETTACOLO NON AIUTA LO SVILUPPO DEL PENSIERO CRITICO”
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Sara Rubinelli è professoressa di Comunicazione nel Dipartimento di Scienze della salute e medicina dell’Università di Lucerne e nella Ricerca svizzera per paraplegici. Si occupa di disinformazione, comunicazione interpersonale, marketing sociale e campagne della salute, cultura della salute e pensiero critico, con un approccio  a cavallo tra scienze umanistiche, cognitive e comportamentali. E’ autrice di oltre cento pubblicazioni internazionali e 5 libri di divulgazione. Il suo canale Instagram dedicato alla comunicazione per la vita quotidiana (@comunicalascienza) ha 35K follower. Le abbiamo rivolto alcune domande sul suo ultimo libro, dal titolo “Il Valore della scienza”.

 

1. Quali sono secondo Lei le difficoltà principali nel comunicare la scienza, e in quale modo con il Suo lavoro cerca di aggirare questi ostacoli?

Una delle difficoltà principali è il sapere come funziona la scienza. Si studiano a scuola le varie scoperte scientifiche, ma il come la scienza arrivi alle sue conclusioni è un tema trattato molto marginalmente. La pandemia ha esposto le persone a risultati di studi scientifici, a proclami senza evidenze, a punti di vista differenti e contraddittori. La valutazione di questa informazione da parte di chi non fa ricerca per professione è complessa. Così, il nostro libro offre un’introduzione proprio al processo scientifico. Parte da una riflessione sul valore e i limiti della scienza, spiega che per arrivare alle scoperte scientifiche servono tempo, studio, finanziamenti e che è normale, perché intrinseco alla natura del procedere scientifico, che ai risultati più generalizzabili si arrivi testando la verità delle ipotesi, nonché scartando quelle che non risultano supportate dai dati. La vera scienza non dà soluzione subito e ora. Necessita di approfondimenti con analisi dettagliate di campioni significativi (sia che si tratti di studi quantitativi che qualitativi). Inoltre, il libro tratta delle normative etiche per la conduzione della ricerca. In questa pandemia ci sono stati proclami su una scienza autoreferenziale e che va contro l’etica. Tutti proclami che, semplicemente, ignorano gli standard che ogni ricerca scientifica deve avere per essere supportata istituzionalmente, finanziata e pubblicata sulle riviste con fattore d’impatto. Da ultimo, il libro analizza tanta disinformazione, teorie del complotto e fake news dal punto di vista di un ricercatore, spiegando come si sviluppa e si presenta una ricerca fondata su un processo scientifico, rispetto a tanta comunicazione, ahimè anche troppo persuasiva, generata spesso da interessi personali al di là della promozione della salute pubblica.

 

2. Il Suo libro si intitola “Il valore della scienza”; ritiene che questo valore sia aumentato o sia in parte andato perduto nel contesto di pandemia, in cui si è diffusa tanta disinformazione e in cui molti si sono auto proclamati esperti, dispensando presunte verità scientifiche?

Sulla scienza e il suo valore è stata fatta tanta confusione! Il problema è proprio chi ha messo in dubbio tante nozioni di base dell’epidemiologia, di virologia, della salute pubblica e altre discipline rilevanti, nonché di tanti studi di qualità, senza essere esperto in materia. Anche se, per esempio, ho una laurea in epidemiologia, per mettere in dubbio i dati di uno studio scientifico non è sufficiente il mio punto di vista. Se lo studio è stato pubblicato su riviste di qualità, esso è stato verificato. Può succedere, come in passato, che alcuni studi siano stati ritrattati in un secondo tempo. Ma non è la normalità del come procede la scienza. Essa non è esente da limiti, come sottolineato sopra, ma non è nemmeno un ‘tutto e il contrario di tutto’ ironicamente dipinto soprattutto da chi non ha mai fatto scienza o da chi non ha avuto o non ha voluto una carriera scientifica per ragioni che non sto a elencare.

Inoltre, sono circolate tante interpretazioni pseudo-scientifiche, ovvero fondate su dati falsi o non rilevanti, o interpretati male per attaccare la credibilità di affermazioni scientifiche che risultavano ‘scomode’. Paradossalmente, in un tempo in cui le restrizioni pesavano davvero tanto sulla popolazione, era più facile raccontare ‘bufale’ contro le restrizioni che cercare di convincere le persone a seguirle. Tante ‘bufale’ sono state di successo perché hanno raccolto lo scontento contro il sistema di restrizioni. Una specie di populismo che, trattandosi di una pandemia, ha purtroppo inciso negativamente sulla salute di troppi… La disinformazione può uccidere. Questa è la realtà triste e grave dell’infodemia a cui abbiamo assistito durante la pandemia.

 

3. Secondo Lei quale impatto hanno avuto i protagonisti della scienza nel dibattito pubblico durante la pandemia, e come valuta il fatto che questi personaggi abbiano ottenuto una certa popolarità durante gli ultimi due anni?

Sono critica sul tanto parlare che è stato fatto nel dibattito pubblico, anche da parte dei protagonisti della scienza. È fondamentale parlare di scienza alla società. Ci sono tante linee guida sul come farlo. Quando, di contro, si decide di entrare in dibattiti per esempio sul tipo di vaccino, sull’evoluzione del covid e questioni di questo tipo, bisogna far attenzione a non confondere invece di comunicare ed educare. Ho visto troppo protagonismo di punti di vista e opinioni, e poca informazione su come, per esempio, si crea un vaccino o sul perché per vi sono punti di vista differenti tra ricercatori. In generale, credo che la comunicazione scientifica debba aiutare chi non è esperto di scienza a capire ciò che serve per decidere autonomamente per la propria salute. Invece si è visto un pubblico spesso confuso dalle troppe opinioni, alla ricerca di ancore per capire cosa stava succedendo, in un tempo in cui le restrizioni, la tristezza e il senso di paura per l’ignoto già provavano a sufficienza la capacità di gestione dei lutti, dei rischi… e del futuro.

 

4. Come vede il futuro della scienza? Quali sono secondo Lei gli obiettivi futuri da perseguire per sfruttare al meglio le verità a cui la scienza può giungere?

Serve un lavoro di squadra tra istituzioni, ricercatori e divulgatori scientifici. Il focus di questo lavoro di squadra dev’essere il ‘far comprendere’ e non, come sottolineato sopra, il creare ‘personaggi’ da talk show. Mi spiace essere così critica sui talk show che in altri contesti hanno il loro valore d’intrattenimento. Ma sulla salute non si scherza, perché se ci ammaliamo stiamo male! Nell’ambito della salute capire cos’è un’evidenza scientifica e cosa non lo è aiuta tantissimo nelle scelte individuali. Si evita, per esempio, di seguire consigli inutili o addirittura dannosi, e di ancorarsi a quelle che sono linee guida non ‘calate dall’alto’, ma ragionate attraverso criteri di valutazione oggettivabili. Noi usiamo tanti risultati scientifici nella nostra quotidianità, spesso senza nemmeno accorgercene. Di queste cose bisogna parlare alla società e contribuire al rafforzamento del pensiero critico individuale che, in fondo, è ciò che davvero permette la vera autonomia e l’indipendenza di giudizio di qualità. Non faccio un favore a me stessa se insisto nel voler decidere autonomamente e utilizzo una base di nozioni false. Meglio ancorare le mie decisioni all’informazione di qualità e, da lì, decidere cosa è meglio per me…

Tags: Il valore della scienza
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