Semplicità, essenzialità ed immediatezza. Sono le parole con cui potremmo descrivere il nuovo Codice deontologico delle giornaliste e dei giornalisti. Approvato lo scorso 11 dicembre dal Consiglio nazionale dell’Ordine, questo documento è in vigore dal 1° giugno e sostituisce il vecchio Testo unico dei doveri del giornalista.
Se, ad un primo sguardo approssimativo, si ha la sensazione di trovarsi al cospetto di un corpus normativo assai ampio, dati i 40 articoli (a dispetto del precedente testo che ne contemplava 16), si è tuttavia smentiti da una lettura attenta e puntuale.
Il primo elemento che testimonia la struttura più snella del Codice è l’assenza di allegati: se, infatti, il Testo unico prevedeva 5 carte deontologiche allegate, nel nuovo documento esse (unitamente alle altre fonti approvate nel corso degli anni) vengono solo richiamate nel preambolo. In quest’ultimo, viene evidenziato come, dalla sua entrata in vigore, il nuovo Codice rappresenti l’unico riferimento deontologico. Con la sola eccezione dell’art. 1 che, alla stregua del Testo unico (con la sola eccezione del richiamo alle norme internazionali, assente in quest’ultimo), riporta fedelmente quanto sancito dall’art. 2 della L. 69/1963, emerge come il nuovo Codice, specie per quanto concerne i principi generali e gli ambiti di applicazione, sia dotato di una evidente essenzialità ed immediatezza. Tale scelta stilistica può essere ricondotta alle indubbie esigenze di modernizzazione nonché alla necessità di adattare le norme ad un contesto mediatico in evoluzione. Proprio a tal proposito, fanno il loro ingresso nel nuovo documento tematiche assenti nel Testo unico e che, invece, a causa della loro delicatezza e rilevanza nello scenario odierno, necessitano di trovare adeguato spazio.
A cominciare dai doveri nei confronti delle persone: oltre alle regole già sancite aventi ad oggetto, a puro titolo esemplificativo, le persone minorenni, quelle fragili, o ancora fatti di cronaca riguardanti femminicidi, molestie o discriminazioni, fa il suo ingresso un articolo dedicato ai comportamenti che un giornalista deve seguire in presenza di casi di suicidi, tentati suicidi o atti di autolesionismo. È stato infatti osservato che più i media parlano di un suicidio, soprattutto quando si tratta di personaggi celebri, maggiore è l’effetto di emulazione.
Passando invece ai doveri in tema di informazione, inevitabile è un passaggio sull’IA: all’art. 19, si esclude che essa possa sostituire il lavoro giornalistico. Ma visto che un contributo dell’IA potrebbe essere in determinati casi proficuo, posto che un suo utilizzo non può mai considerarsi esimente in tema di obblighi deontologici, il comma 2 precisa i doveri a cui il giornalista deve attenersi. E, sempre restando nel titolo IV, rilevante è anche evidenziare la previsione di tre articoli ad hoc, il 20, il 21 e il 26, dedicati rispettivamente all’uso delle immagini, all’informazione in diretta e all’informazione ambientale. Per quanto riguarda il primo, complice la convergenza mediale ovvero l’utilizzo di piattaforme social per la diffusione di notizie, risulta assai proficuo racchiudere in un articolo tutte le disposizioni relative all’utilizzo di immagini. In altri termini, le disposizioni che nel TU erano ricondotte sotto gli articoli aventi ad oggetto il rispetto delle differenze di genere, la cronaca giudiziaria e i doveri in tema di informazione sportiva (nonché nelle carte allegate), trovano ora anche un adeguato spazio, più ordinato e schematico, in un unico articolo. Sul secondo punto, invece, è curioso rilevare come le regole che un giornalista deve rispettare quando conduce o partecipa a trasmissioni in diretta sono le medesime dell’art. 12 del precedente TU, rubricato “Doveri in tema di informazione sportiva”. Probabilmente, l’idea di non circoscrivere tali criteri al solo ambito sportivo, può spiegarsi con il moltiplicarsi dei generi televisivi denominati infotainment i cui ospiti (e conduttori) spesso alzano i toni della discussione. Infine, sul terzo punto, in tema di informazione scientifica e sanitaria, è stato aggiunto anche un paragrafo relativo all’informazione ambientale, tema quanto mai attuale, delicato e dibattuto. L’associazione tra comunicazione ambientale, scientifica e sanitaria si spiega non solo per l’interconnessione tra le tre tematiche, ma anche dal loro impatto sull’interesse pubblico nonché dalla necessità di precisione di linguaggio richiesta.
Per concludere, vanno citati, in tema di lavoro giornalistico e di procedimenti, gli artt. 33 e 37, concernenti la figura del portavoce e la cancellazione e il riavvio dell’istruttoria disciplinare: pur trattandosi di aspetti noti, tali argomenti erano assenti in precedenti testi. In tema di comunicazione istituzionale, l’art. 33, inoltre, è delicato poiché introduce la figura del portavoce, che dovrebbe essere ricondotta nell’alveo del profilo giornalistico: attualmente, infatti, non di rado ci si imbatte in portavoce non giornalisti e che spesso entrano in attrito con le figure professionali dell’ufficio stampa. Non a caso, da anni si discute su una revisione della L. 150 del 7 giugno 2000 sulle attività di informazione e comunicazione degli enti pubblici per introdurre, all’art.7, l’obbligo dell’iscrizione all’Odg anche per i portavoce. Un Codice, insomma, da tenere a portata di mano e che rappresenta non solo un aggiornamento necessario, ma un chiaro impegno verso un giornalismo etico, inclusivo e consapevole, capace di affrontare le sfide di un mondo in continua evoluzione, come evidenziato anche da Papa Francesco, in occasione della 59ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: rivolgendosi ai giornalisti, il Santo Padre ha ricordato come, in un tempo segnato dalla disinformazione, ci sia bisogno di un «impegno coraggioso nel mettere al centro della comunicazione la responsabilità personale e collettiva verso il prossimo».
di Matteo Cotellessa, Giornalista professionista in Direzione Comunicazione Mediaset e cultore della materia di Diritto dell’informazione, Diritto europeo dell’informazione e Regole della Comunicazione d’impresa con il Prof. Ruben Razzante (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)
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