Nel 2020 il Regno Unito è risultato il paese più liberalizzato d’Europa, con un punteggio di 93 su 100, seguito da Irlanda (79) e Spagna (78). Le economie meno aperte invece sono Finlandia (55), Croazia (57) e Slovacchia (57). L’Italia si colloca in sesta posizione con un punteggio pari a 75.
Questi sono alcuni dei risultati dell’Indice delle liberalizzazioni 2020 dell’Istituto Bruno Leoni (IBL), da quest’anno pubblicato in partnership con Epicenter, la coalizione dei think tank europei per il libero mercato.
L’Indice delle liberalizzazioni indaga il grado di apertura in nove settori dell’economia (carburanti, gas, lavoro, elettricità, poste, telecomunicazioni, trasporti aerei, ferrovie e assicurazioni) negli Stati membri dell’Unione europea ed in Gran Bretagna. Nel 2020, il punteggio medio a livello europeo è stato pari a 67,4, in linea con la precedente edizione del 2017.
In ciascun settore, l’Indice misura il livello di apertura del mercato attraverso una serie di indicatori qualitativi e quantitativi finalizzati a catturare la libertà di ingresso nel mercato, di esercizio dell’attività imprenditoriale e di uscita dal mercato.
L’Italia ottiene un punteggio pari a 75 e si colloca al sesto posto nella classifica generale. I mercati più aperti, nel nostro paese, sono le telecomunicazioni (93), le poste (83 grazie soprattutto all’elevato grado di liberalizzazione formale, nonostante il mercato sia fortemente concentrato) e l’energia elettrica (82). Gli ambiti meno esposti alla concorrenza sono le ferrovie (53), i carburanti (61, dove pesa molto l’elevata fiscalità) ed il gas (70, a causa soprattutto dell’elevata concentrazione nella parte upstream del mercato).
Carlo Stagnaro, direttore dell’Osservatorio sull’economia digitale dell’IBL e curatore dell’Indice, commenta: “Il rapporto di quest’anno ci dà un’idea di quale fosse la situazione alla vigilia della pandemia. Lo scorso anno, la pervasività e le forme dell’intervento pubblico si sono moltiplicate in tutta Europa, attraverso tentativi di ri-regolamentazione e un ritorno di fiamma della proprietà pubblica. Questo rischia di ingessare le potenzialità di ripresa, specie nei paesi – come l’Italia – caratterizzati da una bassa crescita della produttività. Le liberalizzazioni sono oggi più che mai un elemento essenziale di qualunque ragionevole strategia di crescita, ma prima ancora è necessario uscire dalla logica emergenziale dell’anno scorso e riportare lo Stato, nel suo duplice ruolo di regolatore e proprietario, entro limiti ragionevoli”.