Rispetto alle previsioni del Governo inserite nel recente Def, viene ipotizzato uno scenario con la crescita del Pil inferiore nel 2022 (+2,8% invece che +3,1%) e anche nel 2023 (+1,9% invece che +2,4%). Questo nonostante la correzione verso l’alto della dinamica del primo trimestre.
Tra i soggetti coinvolti dalla frenata sono presenti anche le famiglie, ormai schiacciate dall’inflazione, la cui variazione è rivista al ribasso sia per l’anno in corso (+2,3% contro il +3% stimato dal documento economico finanziario) sia per il 2023 (+1,9% da +2,1%).
Anche il contributo alla crescita dell’export netto è parzialmente negativo, mentre si registrano risultati postivi per il settore delle costruzioni e delle attività di servizio connesse; su questa accelerazione, con molta probabilità, pesa però l’incertezza riguardo alla durata del bonus 110%.
I numeri di Istat disegnano un quadro generale di rallentamento, non privo di criticità: in cima alla lista figura il fenomeno dell’aumento dei prezzi, con l’inflazione che dovrebbe sfiorare il 6% su base annua, trainata dal boom dei prezzi degli energetici.
In questo scenario si prefigura un’ulteriore riduzione del potere d’acquisto delle famiglie che, insieme all’incertezza sul futuro, andrà a ripercuotersi sui consumi. Prospettiva più preoccupante dell’inflazione stessa: il rallentamento dei consumi interni, infatti, corre il pericolo di annullare la spinta positiva che viene dalla ripresa dell’economia turistica e potrebbe portare ad una nuova revisione al ribasso della crescita del Paese.
È quindi prioritario fermare la corsa dei prezzi, mettendo in campo nuove misure per contenere il caro-energia.
I sostegni introdotti fino a questo momento sono stati efficaci, ma per evitare un ulteriore avvitamento della nostra economia è necessario porre un freno al deterioramento della situazione.
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