L’evoluzione delle tecnologie digitali degli ultimi anni ha provocato una radicale trasformazione delle modalità di produzione, distribuzione e fruizione delle informazioni e, più in generale, dei prodotti culturali. Sono emersi nel corso degli anni nuovi usi, nuovi protagonisti e nuovi modelli di business e, per i consumatori, si sono aperte nuove opportunità di accesso a contenuti protetti dal diritto d’autore: la società dell’informazione 2.0 fonda, infatti, la propria produttività sulla creazione, sulla distribuzione e sullo sfruttamento di contenuti creativi tradizionali (audiovisivi, editoriali ecc…) diffusi in formato digitale. Ciò ha reso la rete uno strumento straordinariamente rilevante per la promozione di un mercato unico dei contenuti, che trascende i confini nazionali. Internet rappresenta oggi un ambiente pubblico virtuale, che innova il concetto stesso di opera dell’ingegno, offrendo contemporaneamente le varie forme dell’arte e della conoscenza umana in un nuovo singolo prodotto culturale, definito “cybespazio”.
D’altro canto queste stesse opportunità hanno sollevato molteplici problematiche in merito «alla capacità di controllo della diffusione dei contenuti sul web e, di conseguenza, alla salvaguardia del diritto d’autore e delle libertà fondamentali. Si è avvertita sempre più, quindi, la necessità di un intervento normativo a livello europeo che portasse a una maggiore responsabilizzazione degli Internet Service Providers (ISP). La mancanza di adeguate tutele europee in materia di diritto d’autore online ha consentito, infatti, negli anni, ai colossi della new tech come Google, Facebook e Twitter di sfruttare, senza pagarne i diritti, il frutto del lavoro di artisti, giornalisti, musicisti, sceneggiatori e più in generale produttori di contenuti creativi, per veicolare pubblicità, da cui traggono la loro principale fonte di business: i giganti del web si sono trovati così a lucrare sui dati che gli utenti spontaneamente offrono loro, grazie al controllo di buona parte del mercato pubblicitario che viaggia per via digitale. In aggiunta, in Italia questi non pagano le tasse sulla pubblicità, se non in una quota irrisoria.
La “mondializzazione della cultura” resa possibile grazie alla rete ha aperto, così, nuovi scenari per la tutela del diritto d’autore, con l’obiettivo di aggiornare una normativa ferma di fatto al 2001: i Paesi membri dell’Unione europea hanno così avviato i primi negoziati per dar vita a una regolamentazione che perfezionasse le regole giuridiche del web, dettate dalla direttiva 29/2001/CE che ha introdotto il cosiddetto copyright telematico, ormai non più adatte al contesto attuale, in cui Internet è di fatto diventato il primario mercato di sbocco per la distribuzione e l’accesso ai contenuti tutelati da diritto d’autore.
Dopo circa tre anni di contrastate trattative, il Parlamento europeo di Strasburgo è giunto a un accordo e il 26 marzo 2019 ha approvato in via definitiva il testo della nuova direttiva sul copyright (2019/790), volta a tutelare i produttori di opere dell’ingegno di carattere creativo nell’era digitale, aiutandoli a recuperare potere contrattuale nei confronti dei giganti statunitensi della tecnologia. Le nuove norme prevedono misure finalizzate a valorizzare la posizione dei titolari di diritto d’autore (autori, giornalisti, editori e creatori di contenuti in generale), potenziando la loro possibilità di negoziare accordi più equi in merito alla remunerazione per l’utilizzo di opere presenti online. A partire dalla data di pubblicazione della nuova normativa nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea (GUUE), i singoli Stati membri avranno due anni di tempo per recepire i contenuti della direttiva, adeguandoli ai loro ordinamenti giuridici nazionali.
La nuova riforma del copyright rappresenta l’esito di un lungo e approfondito iter normativo, intrapreso dall’Unione europea dal 2016 a oggi. Il cammino di questa direttiva europea ha avuto, però, in realtà inizio ancor prima, a partire dal 2013, anno in cui la Commissione europea ha cominciato a condurre svariati studi e valutazioni del quadro giuridico dell’Ue in materia di tutela del diritto d’autore, al fine di trovare una soluzione legislativa che fosse la più adeguata possibile al nuovo contesto digitale. La Commissione europea ha, in seguito, presentato, nel maggio 2015, la strategia per il mercato unico digitale (Digital Single Market), basata sulla necessità di assimilare le differenze fra i diversi regimi nazionali del diritto d’autore e aprire maggiormente agli utenti l’accesso online alle opere in tutta l’Ue, al fine di evitare la frammentazione del mercato interno. Tale strategia mirava a creare un ambiente in cui le reti e i servizi digitali potessero prosperare grazie allo sviluppo delle infrastrutture, e a far sì che l’economia, l’industria e l’occupazione in Europa potessero trarre pieno vantaggio dalle opportunità offerte dalla digitalizzazione.
I Paesi membri dell’Ue si erano resi conto, infatti, da un lato che gli ostacoli esistenti a livello di scambi online limitavano i cittadini, impedendo loro di sfruttare tutte le possibilità relative a beni e servizi, dall’altro che le imprese e le nascenti start up digitali vedevano ridotti i propri orizzonti di manovra e non potevano di fatto beneficiare a pieno degli strumenti digitali. Si è così optato per l’adeguamento di un mercato unico dell’Unione europea all’ecosistema digitale, attraverso l’abbattimento delle barriere normative.
Anche il Consiglio europeo, nelle sue valutazioni del 25 e 26 giugno 2015, auspicava una riforma in materia di diritto d’autore e del settore degli audiovisivi, invitando la Commissione europea a perfezionare la portabilità e l’accesso transfrontaliero del materiale protetto da diritto d’autore e a promuovere nuovi utilizzi nei settori dell’istruzione e della ricerca. Così nel settembre 2016 la Commissione ha presentato un vero e proprio pacchetto di proposte in materia di diritto d’autore, che costituivano un elemento basilare per la nuova strategia per il mercato unico digitale e vertevano essenzialmente su tre priorità: garantire maggiori possibilità di scelta e migliore accesso ai contenuti online e transfrontalieri; migliorare la normativa sul diritto d’autore per la ricerca, l’istruzione e l’inclusione delle persone con disabilità; assicurare un mercato più equo e sostenibile per i produttori di contenuti creativi e per la stampa.
Tra le proposte avanzate dalla Commissione di Bruxelles figurava anche una proposta di direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale: forma antesignana dell’attuale riforma del copyright, la proposta di direttiva intendeva garantire l’armonizzazione del quadro giuridico dell’Unione europea applicabile al diritto d’autore e ai diritti connessi nell’ambito del mercato interno, regolamentare le eccezioni e le limitazioni in merito, stabilire norme volte ad assicurare il corretto funzionamento del mercato per la fruizione delle opere creative e di altro materiale. In particolare, essa prevedeva una serie di eccezioni e limitazioni alle norme sul diritto d’autore e i diritti connessi, che miravano a garantire la legittimità di talune tipologie di utilizzi transfrontalieri, nonché al raggiungimento di obiettivi di politica pubblica, come l’estrazione di testo e di dati da parte di istituti di ricerca con scopi di ricerca scientifica, o l’utilizzo digitale di opere e altro materiale con esclusiva finalità illustrativa ad uso didattico o ancora la realizzazione di copie da parte degli istituti di tutela del patrimonio culturale di opere e altro materiale presente permanentemente nelle loro raccolte nella misura necessaria alla conservazione.
Con la proposta di direttiva COM (2016)593 (COD 0280/2016), la Commissione europea introduceva, inoltre, una serie di misure finalizzate a semplificare e a potenziare le pratiche di cessione di contratti di licenza e a garantire un più ampio accesso ai contenuti online.
Per quanto concerne il settore dell’audiovisivo, la scarsa reperibilità e disponibilità di materiale, in parte imputabile alla farraginosa procedura di cessione delle licenze e acquisizione dei diritti sulle opere, ha spinto la Commissione europea a proporre misure più idonee destinate a semplificare e velocizzare tali procedure, al fine di rendere più agevole l’accesso transfrontaliero dei fruitori a contenuti tutelati da copyright.
Per garantire, infine, un buon funzionamento del mercato per la protezione del diritto d’autore, la proposta estendeva con l’articolo 11 (divenuto presto oggetto di contestazioni e rivisitazioni) agli editori di giornali i diritti ratificati dalla precedente direttiva 2001/29/CE per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni. Stabiliva, inoltre, che gli editori di tutti gli Stati membri avessero la possibilità di reclamare una parte del compenso previsto per gli utilizzi effettuati. Con l’articolo 13 (anch’esso argomento di discussioni e polemiche), invece, veniva imposto ai fornitori di servizi della società dell’informazione 2.0, che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiale caricati dagli utenti, «l’obbligo di adottare misure adeguate e proporzionate, quali l’uso di tecnologie efficaci per il riconoscimento automatico dei contenuti, volte a garantire il funzionamento degli accordi conclusi con i titolari dei diritti e a evitare che i loro servizi rendano disponibili i contenuti specificamente identificati dai titolari dei diritti in collaborazione con i prestatori stessi». Tale proposta impegnava, infine, i Paesi membri a includere obblighi di trasparenza a vantaggio di autori ed artisti (interpreti o esecutori), di istituire un meccanismo di adeguamento contrattuale a sostegno di tale obbligo e uno di risoluzione delle controversie.
In seguito, la proposta di direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale è stata sottoposta dapprima al controllo di sussidiarietà da parte dei Parlamenti nazionali dei singoli Stati dell’Unione europea e, successivamente, alla procedura legislativa ordinaria, che prevede l’adozione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea.
Dopo un’attenta disamina di circa due anni, il 26 giugno 2018 la Commissione giuridica del Parlamento europeo ha dato parere favorevole alla proposta di direttiva sul copyright, proponendo di avviare i negoziati di trilogo con il Consiglio e la Commissione europea. Ciononostante, il Parlamento europeo, riunito in seduta plenaria a Strasburgo, il 5 luglio 2018, con 318 voti contrari, 278 a favore e 31 astenuti, ha bocciato il mandato negoziale della Commissione giuridica e, con esso, la proposta di direttiva sulla riforma del diritto d’autore, che, a parere della maggioranza europarlamentare, necessitava di un supplemento di riflessione sotto diversi aspetti. L’aggiornamento della normativa ha determinato, infatti, la nascita e la graduale crescita di un acceso dibattito tra due schieramenti opposti: da un lato gli autori, giornalisti, editori, cantanti, videomakers, produttori di contenuti creativi in generale, i quali desiderano da sempre un equo e adeguato compenso per i loro prodotti creativi caricati online; dall’altro, ovviamente, gli interessi dei giganti del web, come Google, Facebook, Twitter, che hanno tratto guadagni multimilionari dalla pubblicità, grazie all’utilizzo di contenuti creativi realizzati e messi a disposizione dagli utenti.
Prese così vita un vero e proprio muro contro muro tra questi opposti schieramenti, che la bocciatura del 5 luglio non fece che alimentare. Autori ed editori lanciavano appelli accorati a favore di una direttiva che meglio bilanciasse il rapporto tra loro e le grandi piattaforme digitali, che hanno fondato da sempre il loro business sullo sfruttamento dei contenuti creativi prodotti da altri all’interno dei loro servizi, e che tutelasse una volta per tutte i produttori di opere dell’ingegno, ma più in generale la stessa creatività, sottolineando come questa rappresenti più del 4,5% del PIL europeo e dia lavoro a circa 12 milioni di cittadini. I creatori di contenuti richiedevano, quindi, un web più equo, al fine di evitare che qualcuno potesse trarre profitti a scapito di altri: accusavano di fatto i social network, i motori di ricerca e gli aggregatori di notizie, come Google News, di usare i loro contenuti (per esempio le anteprime degli articoli di giornale online) senza fornire in cambio nessuna forma di contribuzione economica. Dall’altra parte, il fronte dei colossi della rete, ostile alla proposta di una nuova direttiva sul copyright, continuava a sostenere di fare già gli interessi degli editori, visto che il loro traffico arrivava in buona parte dalle anteprime pubblicate sui social network, oppure inserite nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca.
Le lobby dei grandi potentati digitali, guidati da Google e Facebook, hanno svolto un ruolo di primo piano nella battaglia contro l’approvazione della direttiva sul copyright, esercitando una pressione fortissima sugli europarlamentari di Strasburgo. L’attività di lobbying, iniziata a giugno e proseguita fino a qualche ora prima della seduta plenaria del Parlamento di marzo 2019 per l’approvazione definitiva, consisteva di fatto nel sommergere gli europarlamentari di e-mail, telefonate e messaggi generati automaticamente. Tale attività è sfociata anche in dichiarazioni per lo più ingannevoli (vere e proprie fake news) con lo scopo di creare un “effetto valanga”.
L’attività di lobbying, lecita e legittima in ogni società pluralista e democratica, che è stata esercitata sugli eurodeputati a Strasburgo dalle fazioni opposte è da considerarsi senza precedenti, spingendosi fino alla denuncia di intimidazioni e di interferenze all’attività parlamentare e ha portato il Parlamento a spaccarsi e gli stessi partiti politici dei singoli stati a frammentarsi al loro interno.
I punti maggiormente controversi, che hanno determinato la bocciatura della proposta e il rinvio della discussione sulla nuova riforma del copyright alla seduta plenaria di settembre, sono stati indubbiamente quelli contenuti negli articoli 11 e 13, il primo relativo alla tassazione di link e dei cosiddetti snippet, il secondo inerente all’introduzione di filtri automatici per contrastare la pubblicazione di contenuti in violazione del copyright.
Più approfonditamente, l’articolo 11 introduceva l’obbligo per le piattaforme online di pagare gli editori per la pubblicazione e la condivisione dei loro contenuti giornalistici. Secondo questo articolo, i colossi del digitale che intendevano pubblicare non solo interi articoli, ma anche i cosiddetti snippet, vale a dire le brevi porzioni iniziali degli articoli di giornale (il titolo e alcune righe di testo), avrebbero dovuto ottenere una licenza che riconoscesse una «consona ed equa remunerazione» agli editori dei siti di informazione. Qualora la direttiva fosse passata così come era stata formulata, chiunque avesse voluto indicizzare notizie e permettere la visualizzazione dello snippet, avrebbe dovuto, quindi, chiedere l’autorizzazione alle testate, nonché pagarle, probabilmente sotto forma di abbonamenti. La norma escludeva, invece, gli utilizzi privati dei link e il loro uso non commerciale, come è il caso delle grandi enciclopedie online senza fini di lucro quali Wikipedia e degli altri progetti “wiki” di conoscenza condivisa. Nell’articolo veniva stabilito, infine, che gli autori stessi dei contenuti fossero liberi di diffonderli e utilizzarli indipendentemente dai propri editori.
Il fronte favorevole all’approvazione di tale norma sosteneva che in tal modo si andasse da un lato a retribuire con un giusto compenso il lavoro intellettuale di scrittori e giornalisti, dall’altro a foraggiare l’industria dell’editoria tradizionale, impoverita sempre più dalla presenza degli articoli in forma gratuita direttamente sul web. Gli oppositori di tale disposizione affermavano, invece, che proponesse uno strumento dannoso e obsoleto per la regolamentazione di un contesto così dinamico come la rete. L’hanno definito “link tax”, una tassa sui link, che avrebbe rappresentato solo un danno per i piccoli gruppi editoriali, qualora le grandi piattaforme digitali si fossero rifiutate di pagare il compenso richiesto per i loro articoli, con la conseguenza di diminuire drasticamente il traffico in entrata verso i loro siti.
L’altro articolo della direttiva su cui si sono concentrate le maggiori contestazioni e preoccupazioni è stato il numero 13. Oggetto di tale norma era la creazione di filtri automatici (upload filters) per impedire la pubblicazione di contenuti protetti da diritto d’autore: le piattaforme online avrebbero dovuto esercitare una sorta di controllo su ciò che fosse stato caricato da parte degli utenti del web, in modo da escludere la pubblicazione di contenuti sui quali non si detenessero i diritti. Il sistema avrebbe dovuto funzionare verosimilmente come Content ID, la tecnologia utilizzata da Youtube proprio per evitare che siano caricati video che violano il copyright. In questo modo il caricamento avrebbe potuto essere bloccato preventivamente, ancora prima delle diffusione di un video, di un file musicale o altri contenuti, evitando la violazione del diritto d’autore. Con questo articolo la riforma si proponeva di fatto di attribuire una responsabilità diretta in capo ai giganti della rete, qualora copie pirata di contenuti protetti fossero circolate sul web. Ma il principale timore del fronte contrario alla direttiva era che con questa norma si andasse ad attribuire un consistente potere discrezionale e censorio ai big della tecnologia, che avrebbero potuto scegliere quali contenuti censurare e quali no, decidere di pagare per alcuni snippet piuttosto che per altri.
Vortici di polemiche, accese discussioni e intense attività di lobbying si susseguirono nelle settimane successive, finché il 12 settembre 2018, con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astenuti, il Parlamento di Strasburgo ha autorizzato l’avvio dei negoziati adottando un nuovo mandato negoziale, che prevedeva una serie di emendamenti alla proposta della Commissione e presentava, pertanto, un testo legislativo di compromesso rispetto alla precedente versione di luglio.
Tra gli emendamenti approvati dal Parlamento europeo, sono senz’altro da evidenziare quelli relativi agli articoli maggiormente discussi e controversi della proposta, i sopracitati artt. 11 e 13, sui quali i deputati europei si sono confrontati a lungo. Per quanto riguarda l’articolo 11, l’Europarlamento, in linea con la Commissione europea, era favorevole alla creazione di una nuova normativa a tutela dell’utilizzo online delle pubblicazioni di natura giornalistica (art.11), ma sosteneva che tale diritto dovesse valere per un periodo di 5 anni (e non di 20 anni, come precedentemente previsto dalla Commissione) e che non dovesse applicarsi a semplici collegamenti ipertestuali accompagnati da “singole parole”. Tale diritto non doveva, inoltre, impedire l’uso legittimo privato e non commerciale delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di singoli utenti; infine, gli autori dovevano ricevere una quota adeguata dei proventi supplementari percepiti dagli editori per l’utilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione.
In merito all’articolo 13, invece, il Parlamento europeo prevedeva maggiori responsabilità per le grandi piattaforme di condivisione online che danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiale protetto caricati dagli utenti, introducendo la necessità che queste stipulassero accordi equi ed equilibrati di licenza con i titolari dei diritti. In assenza di tali accordi, l’Europarlamento sanciva che le piattaforme online e i detentori dei diritti sui contenuti creativi dovessero cooperare in buona fede per impedire la diffusione attraverso i loro servizi di opere o altro materiale protetti non autorizzati. Così formulato, tale articolo non contemplava il ricorso a vere e proprie tecniche all’avanguardia di filtraggio automatico per il riconoscimento dei contenuti. In aggiunta, il testo prevedeva disposizioni più dettagliate sull’attivazione di meccanismi di reclamo e ricorso a disposizione degli utenti, contemplando, inoltre, la possibilità per questi ultimi di ricorrere a un organismo di controllo indipendente per la risoluzione di eventuali controversie.
A seguito dell’approvazione del testo della direttiva così come è stato formulato nella seduta plenaria di settembre, il 25 ottobre 2018 si sono avviati, sotto la Presidenza austriaca, i negoziati di trilogo, che avrebbero dovuto concludersi il 21 gennaio 2019, ma, a causa di divergenze all’interno dello stesso Consiglio su alcuni nodi negoziali, legati soprattutto agli articoli 11 e 13, gli incontri sono stati rinviati a febbraio 2019.
L’8 febbraio 2019 il COREPER, acronimo per Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio dell’Unione europea, ha conferito alla Presidenza rumena in carica un nuovo mandato negoziale per il prosieguo dei negoziati di trilogo previsti per l’11 e il 12 febbraio. Il testo, basato su un accordo franco-tedesco, ha ricevuto, tuttavia, voto contrario da parte dell’Italia, della Polonia, dei Paesi Bassi, del Lussemburgo e della Finlandia. Altri paesi, Malta e Slovacchia e Svezia, si sono astenuti.
L’11 febbraio 2019 sono riprese le trattative e, dopo una lunga maratona negoziale, il 13 febbraio 2019 è stato raggiunto, grazie alla positiva mediazione della Presidenza rumena, un accordo tra Commissione, Consiglio e Parlamento europei su un testo di compromesso.
Dopo essere passato al vaglio della Commissione affari giuridici del Parlamento europeo il 26 febbraio 2018, il testo della nuova direttiva sul copyright ha ricevuto la sua approvazione definitiva da parte del Parlamento europeo il 26 marzo 2019, data che costituisce, pertanto, la svolta decisiva nell’ambito della legislazione sul diritto d’autore nell’ecosistema digitale. La riforma del copyright è passata con 348 voti a favore, 274 contrari e 36 astenuti. Una maggioranza trasversale, di poco superiore a quella che si ipotizzava nelle ultime ore prima del voto, quando il dibattito circa l’esito della votazione si era fatto particolarmente acceso a causa delle forti pressioni esercitate sugli eurodeputati da parte delle lobby del digitale, che hanno raggiunto il loro apice nei giorni antecedenti la votazione.
Nonostante il voto del 26 marzo 2019 fosse di fatto un risultato definitivo, prima che ogni Stato potesse avviare le procedure per il recepimento dei principi espressi dalla direttiva, occorreva ancora un ultimo consenso, seppur di fatto formale, quello del Consiglio europeo. Il 15 aprile 2019 la direttiva europea sul copyright ha ottenuto il suo secondo e definitivo via libera da parte del Consiglio dell’Unione che ha approvato senza discussione la proposta legislativa presentata. Entro i 24 mesi successivi alla pubblicazione in GUUE gli Stati europei dovranno promulgare le loro leggi di recepimento per adottare e adattare la nuova direttiva allo specifico impianto legislativo dei singoli Stati; proprio questo apre di fatto un ulteriore spazio di trattativa a livello nazionale i cui esiti potrebbero essere imprevedibili.
Anche in questo caso il voto è stato diviso: sei stati membri hanno votato contro (Finlandia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia e Svezia); Slovenia, Estonia e Belgio si sono astenuti; gli altri diciannove hanno votato a favore; la Germania, infine, ha invitato la Commissione ad evitare filtri all’upload e censura. Contrari e astenuti, per i quali la direttiva così formulata rappresenta un passo indietro per il mercato unico digitale, ostacolando l’innovazione anziché promuoverla, hanno rappresentato poco più del 26% della popolazione europea.