Insieme alla campagna elettorale sono partite anche le discussioni attorno a testate e telegiornali e rete, con la par condicio che si conferma come sempre meno adeguata a disciplinare un sistema informativo che si espande in continuazione, arrivando ad essere sempre più vicino agli utenti.
Infatti, al giorno d’oggi la costruzione del consenso politico e la propaganda elettorale avvengono anche (se non soprattutto) sui social e sono necessarie nuove regole non solo per garantire la parità tra i candidati, ma anche per permettere all’elettore di esercitare il proprio diritto/dovere di voto in modo consapevole.
Quando venne varata la Legge sulla par condicio nel 2000, le emittenti nazionali esistenti non superavano la decina, diverse erano le previsioni per la stampa nonché per la disciplina della realizzazione e diffusione dei sondaggi, i social non avevano ancora preso piede. Le attività di ricerca condotte da Agcom, divenute più intense e sistematiche negli ultimi anni, hanno dimostrato che nel corso delle moderne campagne elettorali le piattaforme digitali e i maggiori social network hanno assunto un ruolo rilevante. La rete è quindi diventata un importante mezzo di accesso alle informazioni utilizzate dai cittadini italiani per formarsi un’opinione in vista del voto.
In un contesto così complesso, secondo Michele Mezza, diventa fondamentale che il mondo del giornalismo si ponga come titolare e testimonial della bonifica degli spazi della rete che coincidono con la diffusione dell’informazione. Un’operazione che non si limita al combattere la diffusione delle fake news, ma ha l’obiettivo di rendere il web un luogo di produzione e condivisione di notizie trasparente e controllato, lontano dai canali clandestini che approdano sui telefonini di milioni di utenti e sono prevalentemente collocati nelle aree dei collegi elettorali più contendibili.
Fin dal XVII° secolo il giornalismo è stato un contribuente fondamentale per il funzionamento della democrazia, perché rendendo pubbliche le notizie permette a tutti di conoscere i contenuti che vengono diffusi, per poterli anche contestare e correggere. L’opinione pubblica dipende da questa dialettica, ma nel momento in cui viene meno la conoscenza di cosa viene recapitato ad ogni singolo utente, non è più possibile intervenire. Diventa impossibile costruire un’informazione consapevole e discutere i contenuti.
Negli ultimi anni, all’informazione trasparente di massa si è affiancato un sistema che abbina ogni notizia ad un singolo destinatario, un processo di personalizzazione è passato in fretta dal marketing alla pura manipolazione e intromissione, che vogliono condizionare la conoscenza e perfino la formazione psicologica di ogni utente.
La parola chiave per contrastare il fenomeno è soltanto una: trasparenza. Tra i possibili interventi, Michele Mezza suggerisce che l’Agcom pretenda di avere e rendere pubblico il piano degli investimenti nella rete dei partiti, per sapere non solo quanto ogni partito spende in rete, ma anche per che cosa. Si potrebbero anche rendere pubblici gli eventuali investimenti per l’acquisto di dati territoriali o per la parcella di società di profilazione, come proposto dal professor Marco Mayer della Luiss. In questo modo si offrirebbe la possibilità ai cittadini di conoscere i meccanismi coinvolti nel processo di conquista del consenso necessario per governare il Paese.
Fondamentale è il ruolo dei giornalisti, che devono rispettare rigorosamente la propria deontologia, la quale rappresenta oggi una delle poche forme di garanzia per una competizione elettorale trasparente ed egualitaria.
Un tasto dolente, in questo momento, è rappresentato anche dai bot, sistemi automatici di bombardamento di contenuti che in campo pubblicitario vengono tollerati, ma che non possono essere impunemente usati in campagna elettorale. Si tratta di strumenti che forzano il libero arbitrio, sottoponendo la volontà dei cittadini ad una pressione indebita. È necessario che vengano approvate norme per identificare i bot, distinguendoli dai post degli utenti e vietando il loro utilizzo per l’attività di propaganda elettorale. Secondo Michele Mezza è compito dei giornalisti ribadire una regola affermata dalla Corte Suprema americana: «La libertà d’informazione serve ai governati e non ai governanti».