Lucio Dionisi, responsabile media relation di Credem, parla delle strategie che gli istituti bancari e i soggetti finanziari stanno coltivando nell’attuale fase di incertezza.
La pandemia causata dalla diffusione del Coronavirus ha avuto ripercussioni ed effetti importanti non solo sull’economia globale, ma anche su molti altri aspetti delle nostre vite, tra cui il modo di relazionarsi con gli altri. Alla luce di questi cambiamenti, le imprese si sono trovate a dover ripensare le proprie strategie di business, marketing, comunicazione. A causa del distanziamento sociale, i professionisti stanno sperimentando in queste settimane nuovi canali per comunicare con l’esterno e raggiungere il proprio pubblico. Alcuni recenti report (Accenture, 2020) hanno evidenziato una crescita nell’utilizzo dei canali digitali, e in particolare dei social media, nelle settimane di lockdown. La Rete, già inserita da tempo come touchpoint chiave nell’ecosistema mediatico, diventa quindi luogo privilegiato per informarsi, interagire. Il dott. Lucio Dionisi, responsabile media relation di Credem, ci aiuta a fare chiarezza su questi temi.
La recente diffusione del Coronavirus sta mettendo a dura prova l’economia nazionale e non solo. Quali sono le priorità delle imprese in questa emergenza sanitaria?
Al primo posto vi è stato, ed è ancora, sicuramente il benessere delle persone e la loro sicurezza. Non ci si deve fermare e si deve garantire il servizio ai clienti, ma è necessario farlo mettendo al sicuro le persone. Per molte aziende, soprattutto di servizi, lavorare in remoto è stata una soluzione efficace che però ha richiesto un nuovo tipo di organizzazione, di rivedere le proprie abitudini e grande vantaggio ora ne stanno traendo tutte le organizzazioni che hanno saputo, con lungimiranza negli anni scorsi, investire su tecnologie e formazione.
Altra priorità è saper sviluppare, in questa fase di evoluzione della situazione sanitaria, la capacità delle aziende più solide di sostenere il tessuto con cui sono in contatto così da creare una rete di sostegno reciproco e di solidarietà. Inoltre ritengo che sia chiave continuare ad investire, per quanto possibile, in progetti di medio periodo e non soffermarsi a pensare solo al contingente.
Credo infatti questa pandemia, tra i tanti effetti, abbia accelerato alcuni processi che comunque erano già in atto anche se con tempistiche molto più diluite nel tempo (e-commerce, digital banking, mobilità “alternativa”) ed è per questo che ora è importante anche ricominciare a guardare lontano.
Che tipo di impatto ha avuto il Coronavirus in riferimento all’ecosistema mediatico? Come sono cambiate – se sono cambiate – le media relation in tempi di crisi sanitaria?
Ciò a cui abbiamo assistito è una delle più grandi “tempeste” di notizie dal dopoguerra con un focus sostanzialmente su un unico tema. Per settimane ogni giorno tutti i media hanno trattato l’argomento Covid-19 sotto diversi aspetti e questo ha inevitabilmente e trasversalmente impattato su tutte le organizzazioni.
Per quanto riguarda le media relation, ovviamente queste sono fortemente in prima linea, poiché c’è un grande e continuo bisogno di confrontarsi sui diversi temi che emergono con i protagonisti dell’informazione. I giornalisti hanno lavorato per giorni senza sosta, in condizioni disagiate e spesso anche molto rischiose e ancora oggi stanno continuando, ad analizzare le fonti, interpretare e presentare i dati, proponendoli anche in maniera ragionata ed analitica, facendo domande, e pretendendo risposte, dalle istituzioni, e dalle aziende raccontando anche la situazione a livello internazionale. Questo importante incremento di attività si è naturalmente riflesso fortemente anche sulle strutture di media relation che sono il punto di contatto tra i giornalisti e le aziende che sono spesso organizzazioni molto grandi e complesse.
I giornalisti hanno profuso un grandissimo sforzo nell’informare e nell’affermare l’importanza della gestione dell’informazione nelle attuali democrazie. E questo è avvenuto su più livelli. Hanno consentito di veicolare informazioni di servizio ma anche raccontare le difficoltà incontrate e la cronaca degli avvenimenti. Questo importante carico di responsabilità è stato riconosciuto dai cittadini e ne è dimostrazione l’aumento, senza precedenti degli ascolti e la fruizione di tutti i mezzi.
Le relazioni con i giornalisti implicano solitamente incontri face-to-face, gli strumenti digitali sopperiscono a questa mancanza temporanea?
I rapporti dal vivo sono sempre e comunque importanti e direi a volte fondamentali perché è nella natura dell’uomo ma molte relazioni di fiducia e di stima, nel reciproco rispetto dei ruoli, sono da tempo consolidate e non hanno necessariamente bisogno della presenza fisica per continuare. La tecnologia certamente aiuta a colmare la distanza ma c’è da dire che questa era utilizzata anche prima. Infatti non sempre ci si poteva incontrare ed il telefono, le chat, le video sono sempre stati strumenti fondamentali, quindi non si può dire che non sia stata una totale novità. Questa situazione di distanza forzata credo che abbia ulteriormente avvicinato comunicatori e giornalisti agli strumenti digitali sfruttandoli meglio di quanto sapessimo fare prima.
La digitalizzazione però porta con sé anche aspetti negativi. In Rete l’infodemia e la diffusione delle fake news rappresentano un grave pericolo per gli utenti. Quali potrebbero essere le misure adeguate per arginare il fenomeno?
Come sappiamo le fake news sono sempre esistite ma ciò che con la digitalizzazione è cambiato è la velocità con cui esse diventano virali e si diffondono e la potenziale numerosità delle stesse. E’ una questione quanto mai scottante negli ultimi mesi, l’informazione ha infatti raggiunto un altissimo livello di saturazione. Oggi è richiesta una reazione immediata ma forse una soluzione sarebbe innanzitutto di cercare di “rallentare” un po’ selezionando i contenuti soprattutto se si ha un ruolo attivo nel diffonderli. Selezionare non significa censurare alcuni per privilegiare altri, ma piuttosto scegliere e dare notizie fondate, verificate ed imparziali senza nuocere o distorcere la realtà. Ritengo altrettanto importante lo sviluppo e la diffusione di una “cultura della fruizione dell’informazione” stimolando le persone ad avere uno spirito critico fornendo loro i giusti anticorpi attraverso la conoscenza dei meccanismi che sono alla base della formazione dell’informazione. Non dimentichiamoci che soprattutto in rete le notizie, anche quelle false, si diffondono con il passaparola. Quindi rompere la catena spesso sta anche a noi.
Il principio che tutti abbiano la possibilità di esprimere un parere è assolutamente giusto e da difendere. Ritengo che sia anche auspicabile creare dei meccanismi che garantiscano la trasparenza e la chiara identificabilità degli assetti proprietari di testate, Tv, siti Internet, blog o account di social network. Risulta chiave risolvere il conflitto d’interesse dietro le parole delle persone. Il fatto che ci siano interessi sullo sfondo non pregiudica che possa essere fatta informazione, anche di livello, ma se il lettore ne fosse sempre al corrente potrebbe interpretare meglio ciò che legge e con spirito critico. L’idea è premiare e far emergere quelle dinamiche informative che risultino più trasparenti.
Mirko Olivieri è dottorando al Dipartimento di Business, Diritto, Economia e Consumi dell’Università IULM e Research Fellow all’Alta Scuola in Comunicazione (ALMED) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.