I processi di machine learning che governano queste macchine si stanno spostando da un’intelligenza artificiale settoriale, cioè specializzata in un solo campo di azione, ad un’intelligenza artificiale generale in cui l’applicazione a diversi campi permette processi di autoapprendimento che si giovano del trasferimento incrociato fra diversi modelli di conoscenza.
Oggi i limiti nello sviluppo dei robot riguardano solamente la cosiddetta intelligenza creativa e l’intelligenza sociale, cioè l’insieme di quelle capacità relazionali, negoziali e cooperative che costituiscono esse stesse parte di una creatività che ha non solo un potenziale di originalità rispetto a soluzioni precedenti, ma anche di effectiveness, cioè di impatto trasformativo sullo stesso ambiente che le ha generate.
Bisogna domandarsi quale sia il futuro del lavoro in questa società, in cui le macchine possono imparare e quindi divenire autonome, come tante volte descritto in una lunga tradizione letteraria che ritenevamo fantascientifica. Bisogna essere ottimisti o catastrofisti?
Oggi certamente si sta sviluppando un’ampia area di automazione, ma al margine di questa si stanno consolidando due diverse aree che sembrano allontanarsi sempre più.
Da una parte troviamo un’area di lavori ad alta creatività e manualità, per gestire proprio quei sistemi di produzione che moltiplicando le possibilità produttive, richiedono competenze più avanzate ed integrate: ingegneri che conoscono i materiali e analizzano l’andamento dei mercati e ne riconoscono i bisogni emergenti, ma anche tecnici per produzioni a sempre più alto valore aggiunto; fisici e chimici che debbono rispondere a problemi globali o ad emergenti problemi industriali; informatici, o meglio data scientist, che si applicano alle scienze umane e human and social scientist che necessitano di strumenti di data science.
Nel contempo si sta sviluppando un comparto di lavorazioni a basso valore aggiunto, con condizioni contrattuali del tutto precarie, legate ad attività ripetitive ed instabili, perché soggette a stagionalità o non prevedibili, che non giustificano investimenti in automazione né tantomeno in gestione delle risorse umane atte a valorizzarne le competenze, escluse da ogni tutela sindacale.
Infine, bisogna sottolineare la questione della protezione dei dati personali, un presidio a garanzia dell’identità, della personalità, dell’integrità del lavoratore nel contesto della digitalizzazione, che porta il dibattito sull’automazione alle sue estreme conseguenze.
Proteggere i dati personali del lavoratore dalla manipolazione o dalle decisioni di una macchina, che potrebbe essere chiamata anche a dirigerne le mansioni e valutarne la produttività, è oggi l’irrinunciabile ed ultimo veicolo per salvaguardarne la dignità.