L’era digitale ha cambiato il modo di gestire le relazioni: attraverso internet riusciamo a connetterci con chiunque e continuare a coltivare digitalmente i rapporti della vita reale.
Questo può apparire come un fatto positivo, ma per molti spesso si rivela anche disastroso: è il caso dell’orbiting, una nuova forma di tortura digitale.
Nell’orbiting, a seguito della separazione di una coppia, il soggetto non sparisce nel nulla ma continua ad orbitare, usando il medesimo termine, attorno alla persona, non volendo però avere con lei alcuna relazione, sia telefonica e sia per messaggi diretti.
Questo fenomeno è stato definito “orbiting” per la prima volta da una blogger, Anna Iovine, dopo averlo sperimentato in prima persona. Lei lo descrive come «uno/una ex pretendente che ti tiene nella sua orbita – abbastanza vicino da vedersi; abbastanza lontano da non parlare mai».
Si tratta di una tattica che si basa sull’ambiguità e sull’assenza di comunicazione. Le uniche iterazioni avvengono sui social, e si traducono nel continuare, ad esempio, a guardare le storie su Instagram o nel mettere like alle foto, a volte anche commentandole come se nulla fosse.
Esistono tre profili di orbiter: colui che ama esercitare il controllo sugli altri, l’inconsapevole di quello che sta facendo e colui che non sa esattamente ciò che vuole.
Si può quindi dire che l’orbiting è sinonimo di relazione tossica. Elaborare la fine di un rapporto o mettersi in testa che quella persona di cui siamo innamorati non vuole avere a che fare con noi è già molto difficile, se poi questa presenza digitale continua a ronzarci attorno, diventa una punizione emotiva davvero complicata da gestire.
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