Garantire sicurezza e incolumità degli studenti attraverso il monitoraggio delle loro attività online è una pratica sempre più diffusa nelle scuole. Tuttavia, questo controllo viene usato più spesso a fini disciplinari che per la sicurezza degli studenti, con conseguenze sulla privacy e la libertà di espressione.
Un report di Human rights watch su 163 piattaforme per la didattica online utilizzate da 49 paesi nel mondo, ha messo in luce come i dati sensibili degli studenti e delle loro famiglie siano vulnerabili.
Tra i sistemi di sorveglianza più invasivi per gli studenti ci sono quelli che sono stati impiegati proprio per la didattica a distanza: spesso gli algoritmi si basano sui dati del passato e danno vita alle profezie auto-avveranti. Si sono già verificati casi simili, come quelli di scuole inglesi i cui algoritmi hanno bocciato studenti che venivano dalle famiglie meno abbienti proprio perché le informazioni elaborate in passato mostravano una maggiore difficoltà per queste famiglie a garantire la fine degli studi ai figli. Ciò riguarda principalmente i bias dell’AI predittiva: basandosi su informazioni ottenute in precedenza, l’AI potrebbe commettere errori di valutazione.
Se da un lato gli studenti riferiscono di essere stati indirizzati a consulenti scolastici, assistenti sociali e altri adulti per un sostegno alla salute mentale, dall’altro essi subiscono gli effetti negativi del monitoraggio online, che includono la mancanza di libertà di potere esprimere i propri pensieri e sentimenti online e l’impossibilità di accedere a risorse importanti che potrebbero aiutarli.
I dati sono, infatti, usati per monitorare i contenuti dei social media pubblicati pubblicamente sugli account personali degli studenti e determinare se uno studente stia imbrogliando in un esame.
Il monitoraggio può registrare informazioni quali il contenuto delle e-mail, della messaggistica e dei documenti degli studenti, il contenuto dei loro schermi, la data e l’ora dei loro accessi e le loro ricerche su Internet; può anche consentire la visibilità in tempo reale di ciò che guardano sui loro dispositivi.
A difesa dei ragazzi si schiera il Garante della privacy, che ha sempre dimostrato di avere molto a cuore le questioni che riguardano l’ambito scolastico soprattutto nel periodo della pandemia, intervenendo in Italia e frenando la circolazione di sistemi di Clearview Ai per il riconoscimento facciale, molto diffusi invece in America.