Il caso è nato da una segnalazione fatta dalla Polizia Locale all’Autorità Garante in merito ad un accesso ispettivo, sollecitato dalla Stazione dei Carabinieri, per alcune telecamere esterne puntate verso la facciata della Caserma.
La Polizia Locale aveva constatato che sia le telecamere interne sia quelle esterne al Circolo non erano segnalate da alcun cartello contenente l’informativa e due di quelle esterne riprendevano il marciapiede e la facciata della Stazione dei Carabinieri.
Sotto il profilo dell’informativa, il Garante della Privacy sottolinea che l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza può determinare, in relazione al posizionamento delle telecamere e alla qualità delle immagini riprese, un trattamento di dati personali e pertanto deve essere effettuato nel rispetto dei principi generali contenuti nell’art. 5 del Regolamento europeo e, in particolare, del principio di trasparenza che presuppone che “gli interessati devono essere sempre informati che stanno per accedere in una zona videosorvegliata”.
Anche secondo la Suprema Corte, la videosorveglianza delle parti comuni volta ad accertare la commissione di atti illeciti non configura gli estremi dei reati né di violazione di domicilio né di interferenza illecita nella vita privata altrui ex artt. 615 e 615-bis c.p., non essendoci di fatto una violazione della privacy dei condomini.
Il titolare del trattamento deve apporre idonei cartelli informativi secondo le indicazioni contenute al punto 3.1. del provvedimento in materia di videosorveglianza – 8 aprile 2010, tenuto conto delle Linee Guida n.3/2019 del Comitato Europeo per la Protezione dei Dati.
Inoltre, va tenuto presente che la necessità di utilizzare la videosorveglianza a protezione degli interessi legittimi di un titolare si arresta ai confini delle aree di propria pertinenza. Pertanto, anche nei casi in cui si renda necessario estendere la videosorveglianza alle immediate vicinanze dell’area di pertinenza, il titolare del trattamento deve comunque mettere in atto misure idonee a evitare che il sistema di videosorveglianza raccolga dati anche oltre le aree di pertinenza, eventualmente oscurando tali aree.
Pone fine al caso la sentenza n. 3255/2021 con cui la Corte di Cassazione ha riconosciuto la legittimità dell’impianto di videosorveglianza installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali e in difetto di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.
La Corte ha, inoltre, affermato che le telecamere della videosorveglianza, installate all’interno di una dimora o nelle sue pertinenze – che riprendono l’area del parcheggio condominiale – non integrano in alcun modo i reati supposti in quanto non ledono alcuna privacy. Difatti, tali zone sono destinate al passaggio e all’uso generico dei soggetti senza che ciò riguardi il singolo domicilio e/o la singola sfera personale dei soggetti interessati dalle riprese. Di conseguenza, gli impianti installati in queste aree sono leciti e non concernono la vita privata dei singoli e non violano la privacy dei soggetti coinvolti.
Il trattamento deve quindi essere effettuato con modalità tali da limitare l’angolo visuale all’area effettivamente da proteggere, evitando, per quanto possibile, la ripresa di luoghi circostanti e di particolari che non risultino rilevanti per la tutela dell’interesse legittimo del titolare del trattamento (spazi pubblici, altri esercizi commerciali o edifici pubblici estranei rispetto alle attività del titolare, ecc.).
La violazione dei presupposti di legittimità del trattamento comporta un trattamento illecito di dati e l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (nel caso in esame di duemila euro) prevista dall’art. 83 del Regolamento.