L’Ue è stata la prima istituzione con la tassonomia green a fornire un modello per decidere cosa è “verde” e cosa no, ed è l’organizzazione internazionale più attiva contro il greenwashing. Secondo gli Orientamenti per l’attuazione/applicazione della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, se le “dichiarazioni ambientali” o “dichiarazioni verdi” sono false, allora si può parlare di greenwashing, ovvero “marketing ambientale fuorviante”. Questo avviene quando le aziende nascondono i loro comportamenti anti-ambientali sotto slogan, dichiarazioni e dati di sostenibilità che però è solo di facciata. La finanza sostenibile può evitare di incorrere nel greenwashing seguendo due principi essenziali: trasparenza e comunicazione, dichiarando quello che si sta facendo con sincerità e consapevolezza delle proprie azioni.
L’Unione Europea ha presentato una serie di regolamenti e direttive per potenziare la trasparenza sui temi ESG (Environmental, Social and Governance), a partire dai principi stabiliti a livello internazionale nel Global Compact e nell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e dall’Action Plan on Sustainable Finance, varato nel 2018.
I principali atti normativi a cui possiamo ricorrere di fronte al Greenwashing sono:
– Il nuovo atto delegato della tassonomia sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE pubblicato il 15 luglio 2022. Sono considerate attività ecosostenibili anche quelle legate al gas naturale e al nucleare (se rispettano i criteri tecnici stabiliti su base scientifica). La Commissione Europea si sta occupando anche di una tassonomia sociale per identificare le attività economiche in grado di contribuire al raggiungimento di obiettivi sociali quali lavoro digitoso, qualità della vita e comunità sostenibili.
– La Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR), che impone norme comuni ai partecipanti ai mercati finanziari in merito alla divulgazione di dati sui temi di sostenibilità. I soggetti interessati dalla normativa devono fornire informazioni su come tengono in considerazione i fattori ESG a due livelli: 1) nei processi decisionali interni all’organizzazione e 2) in tutti i prodotti finanziari collocati sui mercati dell’Unione Europea. Il Regolamento identifica due categorie di prodotti con ulteriori vincoli in termini di divulgazione di dati sugli aspetti ESG: i prodotti che promuovono caratteristiche ambientali o sociali (art. 8 SFDR) e quelli che hanno come obiettivo investimenti sostenibili (art. 9 SFDR).
– La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), che impone alle grandi imprese di rilievo di redigere una rendicontazione non finanziaria, inserendo anche il principio della doppia materialità.
– La Corporate Sustainability Due Diligence (CSDD), che ha l’obiettivo di promuovere un comportamento aziendale sostenibile e responsabile lungo tutta la catena del valore, assicurando una maggiore trasparenza per consumatori e investitori.
Oltre alle norme, il Forum per la Finanza Sostenibile sottolinea anche l’importanza dei dati, che conferiscono concretezza e credibilità. Vi sono numerose proposte sul miglioramento della qualità e quantità dei dati disponibili sulla questione ESG, tra questi l’ European Single Access Point (ESAP) riguardante la costituzione di un punto di accesso centralizzato alle informazioni su servizi finanziari, mercati dei capitali e sostenibilità, che le aziende devono rendere pubbliche; l’organizzazione non profit CDP ex Carbon Disclosure Project che raccoglie dati sull’ambiente inviando questionari alle aziende; l’associazione globale di analisti finanziari Global ESG Disclosure Standanrds del CFA Insititute che promuove alti standard etici e professionali nel settore degli investimenti.
Altre risorse a disposizione di imprese, investitori e consumatori sono le certificazioni. L’unico marchio di qualità ecologica riconosciuto a livello europeo è l’Ecolabel UE, istituito nel 1992 e in vigore nei 28 Paesi dell’Unione Europea e nei Paesi appartenenti allo Spazio economico europeo (See: Norvegia, Islanda, Liechtenstein). Questo contraddistingue i prodotti e i servizi che pur garantendo elevati standard prestazionali possiedono un ridotto impatto ambientale durante l’intero ciclo di vita. Si tratta di un’etichetta ecologica volontaria basata su un sistema di criteri selettivi e su base scientifica, che tiene conto degli impatti ambientali dei prodotti o servizi lungo l’intero ciclo di vita ed è sottoposta a certificazione da parte di un ente indipendente. Per la prima volta in 30 anni il marchio Ecolabel UE è applicato alla finanza sostenibile con l’obiettivo di contrastare il greenwashing.
Alla luce dei risultati ottenuti, il Forum per la Finanza Sostenibile nel paper ha stilato delle linee guida generali per prevenire e contrastare il fenomeno del greenwashing. Innanzitutto, per potersi definire “sostenibili”, occorre intervenire in profondità sulla cultura aziendale e suoi processi produttivi. In secondo luogo, bisogna essere certi di quello che si comunica, a partire da dati affidabili e solide politiche di sostenibilità. Per migliorare i risultati ESG è importante dialogare con gli stakeholder (incluse ONG e comunità locali) e pubblicare rendicontazioni dettagliate sui soggetti coinvolti, sulle modalità di svolgimento del processo di dialogo e sui risultati raggiunti. Per gli attori della finanza sostenibile, il dialogo con le società investite è utile per raccogliere informazioni, chiarire eventuali situazioni controverse ed esortare a comportamenti più onesti sotto il profilo ESG. Inoltre, è bene esplicitare le metodologie di misurazione dei Key Perfomance Indicator (KPI) scelti per monitorare il raggiungimento degli obiettivi.
Alla Cop27, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2022 (tenutasi dal 6 al 18 novembre in Egitto), il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha presentato dieci raccomandazioni pratiche per investitori e contribuenti privati come aziende, compagnie finanziarie, città e regioni. L’obiettivo è porre fine alle pratiche di greenwashing, in favore di misure che portino veramente verso il net zero, migliorando integrità, trasparenza e responsabilità. Queste mirano da un lato ad accompagnare tutti gli enti non statali che vogliano volontariamente cambiare il loro approccio e il loro impatto ambientale, dall’altro a evitare che continuino azioni guidate dall’ignoranza e pratiche di greenwashing. Al sesto punto si indica che qualsiasi attività di lobbying deve essere a favore di un’azione positiva per il clima e la retribuzione dei dirigenti e le spese in conto capitale devono essere collegate a piani di azzeramento netto. Al successivo la rimozione delle foreste deve essere fermata. All’ottava regola le imprese e le regioni con piani climatici devono riferire sui loro progressi nella riduzione effettiva delle loro emissioni, con sufficiente dettaglio e rigore. L’ultimo punto riflette in senso globale: lo zero netto non funzionerà senza un flusso sufficiente di denaro verso i Paesi in via di sviluppo. Ciò dovrebbe riflettersi nei piani dei bilanci pubblici e privati di sostenibilità, e questa è la nona raccomandazione. Quindi, a partire dagli emettitori aziendali ad alto impatto, è necessario sviluppare e implementare regolamenti e standard per garantire che le regole di base dell’economia siano progettate per ridurre le emissioni nette a zero.