Roberto Carlo Rossi, appena riconfermato alla guida dell’Ordine dei Medici di Milano, ha risposto alle nostre domande riguardo le nuove tecnologie e l’Intelligenza Artificiale applicate all’ambito sanitario e delle cure mediche.
Crede che le nuove tecnologie stiano avendo effetti positivi o negativi sulla professione medica? Ci può fare degli esempi?
Sono sempre contrario a dare delle etichette di positivita’ e negativita’, dei giudizi morali, che in qualche modo possano fare riferimento a dei valori positivi o negativi. L’AI è una tecnologia nuova, è l’espressione di un progresso scientifico e tecnologico che abbiamo a disposizione. Se utilizzassi l’elettricità per scopi bellici farei una cosa terribile, se la utilizzassi per illuminare le città e’ dare la luce al computer e ai riscaldamenti farei una cosa positiva. Abbiamo a che fare con un mondo che sta cambiando rapidamente, in particolar modo ora la gente comune ha a disposizione dati molto particolari come una curva pressoria, un elettrocardiogramma, quindi non solo la frequenza cardiaca ma un livello superiore di dati medici che prima non aveva, con un’interpretazione bella fatta, un po’ rozza ma in via di definizione, cosi come l’intelligenza artificiale, applicata a tutti i settori dello scibile, viene applicata anche al settore della medicina con ottimi risultati anche se poi spesso le persone cercano il contatto diretto con il medico e mi dicono che, dopo una fase di grande successo, Babylon Health sta un po’ sgonfiandosi. L’intelligenza artificiale ti mette a disposizione una soluzione di alto livello, senza avere a disposizione in tutti i momenti un medico. Non equivale ad avere di fronte un medico sicuramente, almeno fino ad oggi. Tuttavia, è possibile che in futuro questo aspetto possa evolversi ulteriormente.
Le applicazioni dell’intelligenza artificiale, come quelle per la lettura di esami diagnostici o per l’analisi di grandi quantità di dati clinici, stanno facendo passi da gigante. Ritiene che queste tecnologie possano supportare in modo significativo i medici nella diagnosi e nel trattamento dei pazienti, o potrebbero rischiare di creare una distanza tra il medico e il paziente?
Questi sono degli interessantissimi strumenti che noi abbiamo a disposizione. Io però ancora penso che l’uomo sia meglio. Ora, sono consapevole che il computer può essere istruito ad essere empatico: molti di coloro che hanno utilizzato Babylon Health riferiscono addirittura che il computer è più empatico dell’uomo perché riconosce nel viso di chi parla delle modificazioni che gli fanno capire che tipo di persona ha davanti e cosa sta provando, e quindi va a cercarsi le cose più giuste da dire in quel momento.
Io credo quindi che l’intelligenza artificiale sia il non plus ultra per quanto riguarda la stragrande maggioranza dei casi; quindi noi abbiamo a che fare con una macchina che è in grado, introitando moltissimi dati, di dare una risposta valida e abbastanza corretta, dal punto di vista scientifico, e lo sarà sempre di più ovviamente, nella stra grandissima maggioranza dei casi.
La stessa cosa per quanto riguarda il rapportarsi con il paziente: nella stra grandissima maggioranza dei casi, ci sarà una buona correlazione.
Ma probabilmente l’uomo è ancora (e forse lo sarà sempre) la cosa migliore per quanto riguarda i casi eccezionali e per capire situazioni molto particolari, perché gli atteggiamenti e la mimica facciale non sono tutto, il modo di parlare e il modo di fare non sono tutto; devi capire l’insieme. Oggi, poi, obiettivamente, ancora l’intelligenza artificiale in alcuni casi si dimostra un po’ rozza e ancora legnosa; ma questo francamente credo, da come si è cambiato da una volta all’altra, da una versione all’altra di intelligenza artificiale, credo che la rozzezza sia progressivamente destinata a scomparire, quindi la do per già scomparsa.
Come dicevo, la cosa che temo possa sfuggire alla comprensione dell’intelligenza artificiale, è il caso eccezionale, il caso particolare, il caso molto complesso da capire: non complesso dal punto di vista scientifico ma complesso per un insieme di fattori, umani e scientifici.
Lì, forse, la capacità dell’uomo è ancora superiore.
Infine, parlando dei pericoli che posso intravedere nell’utilizzo dell’intelligenza artificiale, non posso non sottolineare che questa nuova tecnologia si basa su molti dati che vengono introitati. Capita spesso che vi possano essere più soluzioni valide di una medesima problematica e quindi si sceglie una strada da seguire, piuttosto che un’altra, di somministrare un farmaco piuttosto che un altro, di utilizzare una tecnica piuttosto che un’altra.
Io sono molto preoccupato sul controllo di questo tipo di scelte, nel senso che in questo momento le scelte vengono fatte neppure da Stati, neppure da organismi sovranazionali o nazionali indipendenti ma vengono fatti da privati. Questo può provocare spostamenti di denaro importanti, può provocare tendenze verso un atteggiamento piuttosto che un altro e quindi apre a una problematica per il futuro che fino a oggi non si era mai avuta. Su questo vedo che non c’è per nulla dibattito e la cosa mi preoccupa parecchio.
Le nuove tecnologie, pur offrendo enormi vantaggi, rischiano anche di accentuare le disuguaglianze nell’accesso alle cure, soprattutto per le persone che vivono in aree più isolate o con meno risorse. Come vede il ruolo delle istituzioni sanitarie nell’assicurare che la digitalizzazione non diventi un fattore di esclusione?
Non credo che questo rappresenti un problema, anzi credo che la diffusione della alfabetizzazione informatica renderà fruibile a tutti l’accesso alle informazioni. Infatti, anche in areee particolarmente depresse e povere della Terra, l’accesso a internet è facilmente realizzabile. Ovviamente, un problema può essere costituito dalle aree isolate, che, tuttavia, sono sempre di meno sul nostro pianeta.
Con l’avanzamento delle tecnologie legate alla medicina, come l’uso di big data e l’archiviazione elettronica dei dati sanitari, quali sono, secondo lei, le principali sfide etiche e di privacy che i medici devono affrontare, e come possono essere affrontate?
Qui si entra in un bel problema nel senso che noi viviamo in un’epoca che potremo dire di trasparenza ma il termine è di solito sempre legato ad un qualcosa di positivo. Forse sarebbe meglio dire che viviamo in un’epoca di ostensione di tutto quello che ci appartiene, forse con la unica esclusione dei nostri pensieri. Molti dati biometrici circolano oramai liberamente in rete e, di fatto, stiamo catalogando tutte le donne e gli uomini viventi e non. Forse uso dei toni un po’ apocalittici, ma effettivamente tutelare la privacy nel nostro secolo, è oramai un’impresa molto molto difficile perché ogni cosa che facciamo lascia praticamente sempre una traccia. Credo sia proprio il 2025 l’anno in cui si prevede che il numero di “cose” collegate a internet (internet of things) diventerà uguale a quello degli abitanti di tutta la terra e questo ovviamente vuol dire che tutte le volte che usiamo questi oggetti noi lasciamo una traccia elettronica e questa traccia determina un archivio che può venire letto da qualcuno. Quindi noi dobbiamo trovare il modo per secretare e per costruire delle robuste casseforti per riuscire contenere questi dati. Altrimenti si aprirebbero problemi che fino ad oggi abbiamo pensato fossero caratteristici solo di qualche film che ritrae un futuro distopico. Faccio notare che non sono elucubrazioni paanoiche: in epoche recenti c’è chi ha avanzato la proposta di non assistere i fumatori e si è avuta la proposta di non assistere le persone obese o assisterle dopo le persone normali o normo peso! In sintesi: le tecnologie odierne ci consentono di tracciare tutti e di conoscere i dati biometrici di tutti. Saremo, inoltre, sempre più in grado di prevedere il futuro sanitario di una persona. Dobbiamo allora essere capaci di tracciare regole e saldi confini etici, per evitare di piombare in un futuro distopico della peggiore specie.
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