Nel mese di maggio del 2009, al culmine di una crisi coniugale, la moglie lasciava la casa familiare dove aveva vissuto sino a quel momento con il marito. Pochi mesi dopo, la stessa presentava al questore di Savona una richiesta di ammonimento a norma dell’articolo 8 del D.L. n. 11/2009 nei confronti del marito, descrivendo una lunga serie di episodi di violenza fisica e verbale, nonché altri comportamenti di carattere persecutorio.
Ritenendo fondata la richiesta, il questore aveva proceduto all’ammonimento dell’uomo, il quale proponeva ricorso al TAR Liguria per ottenere l’annullamento del provvedimento amministrativo, considerato illegittimo per diversi motivi, tra i quali la mancata comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, imposta dall’articolo 7 L. n. 241/1990. Accogliendo questo motivo di ricorso, i giudici amministrativi avevano annullato l’ammonimento.
La sentenza del TAR Liguria è stata poi impugnata dal Ministero dell’Interno e annullata dal Consiglio di Stato. Secondo i giudici, il procedimento amministrativo in questione, essendo finalizzato a prevenire comportamenti di stalking, dovrebbe dare una risposta celere e immediata, con la finalità di evitare una serie di episodi violenti, lasciandosi riportare nell’eccezione prevista dall’articolo 7, co. 1, l. n. 241/90.
A fronte della conferma dell’ammonimento in sede di giustizia amministrativa, l’uomo adiva la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, lamentando una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU).
La vicenda si è conclusa con la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) che condanna l’Italia per la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare del ricorrente, ammonito dal questore a norma dell’articolo 8 del Decreto legge n. 11/2009.
Nonostante le ragioni che hanno portato alla condanna dell’Italia derivino dalle specificità del procedimento, le motivazioni della sentenza contengono delle importanti riflessioni, dirette a dare un impatto significativo sull’interpretazione giurisprudenziale della disciplina vigente.
Da un lato, si afferma che l’autorità amministrativa deve assicurare all’interessato il diritto di essere ascoltato prima dell’adozione del provvedimento sfavorevole, potendosi derogare a tale diritto esclusivamente se dovessero sussistere specifiche ragioni di urgenza, delle quali si deve dare conto nel caso concreto. Dall’altro lato, la Corte sembra affermare la necessità di meccanismi che rendano temporanea, e non perpetua, l’ammonizione stessa. Queste prese di posizione, potrebbero dare adito al disappunto di una parte degli operatori del diritto, vista la delicatezza del fenomeno che fa da sfondo all’istituto in questione.
I principi affermati nella sentenza non sembrano relativi esclusivamente all’ammonimento del questore, ma anche alle altre misure amministrative capaci di interferire con il diritto alla vita privata e familiare. Le considerazioni dei Giudici di Strasburgo non poggiano esclusivamente su specifiche disposizioni della Convenzione di Istanbul, relativi agli strumenti di lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ma lo fanno direttamente dai corollari dell’articolo 8 CEDU.
In questo modo, la sentenza potrebbe rappresentare un punto di impiego per una lettura orientata anche di altre misure di prevenzione, come ad esempio l’avviso orale del quale all’articolo 3 Decreto Legislativo n. 159/2011, che, come messo in luce dalla dottrina, ha una fisionomia molto simile a quella dell’ammonimento del questore.