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Sulla natura del “troppo parlare”

di Sara Rubinelli, Professore presso il Dipartimento di Scienze della Salute e Medicina, Università di Lucerna (Svizzera), e Presidente dell'International Association for Communication in Healthcare (EACH)

by Redazione
20 Luglio 2020
in Libertà d'informazione
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I confini della disinformazione e gli strumenti per arginarla
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La lettura in svariati ambiti del sapere ricorda da secoli il valore del silenzio, a favore di una cultura dell’ascolto. Disse John Wolfgang Goethe: “Comunicare l’un l’altro, scambiarsi informazioni è natura; tenere conto delle informazioni che ci vengono date è cultura”. La “cultura dell’ascolto”, lungi dall’essere un costrutto teorico e ideale, dovrebbe diventare una pratica. Non solo, infatti, contribuiamo al benessere della società se sappiamo ascoltare, ma, qualora siamo noi ad aver bisogno di essere ascoltati, ci ricorda Giovanni Verga che “le parole hanno il valore che dà loro chi le ascolta”.

Tanti sono i detti popolari sul silenzio e l’ascolto: “un bel tacer non fu mai scritto” e “l’uomo che sa ben parlare non vale quello che sa ben ascoltare”.

Questi mesi di pandemia, in particolare, ci hanno però mostrato che la nostra società è quella “del troppo parlare”, e in modo spesso incoerente, contraddittorio e scoordinato. Che paradosso per tutti i manuali sulla comunicazione del rischio che sottolineano quanto il dare messaggi il più possibile chiari e coerenti sia un punto di forza per limitare l’incertezza tipica di situazioni in origine sconosciute e in evoluzione quali il COVID-19…

In questi mesi hanno parlato tutti. In generale tutti parlano sempre, ma nei limiti della loro quotidianità casalinga. Oggi, invece, tanti e troppi hanno comunicato attraverso canali ufficiali, fonti mass-mediali, messaggi di Whatsapp, video di YouTube con centinaia di migliaia di spettatori, lettori, follower e utenti. E poco importava quale fosse la vera competenza di ciascuno. La scienza è diventata di colpo materia di discussione anche da parte di chi non ha fatto studi scientifici. L’epidemiologia è apparsa come la disciplina di coloro che fanno congetture e ipotesi sbagliate. Medici e non medici hanno espresso punti di vista soggettivi come se fossero di validità mondiale (il Covid-19 è vivo, il Covid-19 è morto), il tutto condito da persuasive teorie del complotto e fake news su accordi mondiali che sono stati divulgati in video da vedere prima che qualcuno li cancellasse “perché troppo veri”, o tramite personaggi che dichiaravano di aver capito loro e da soli tutto quanto stava succedendo. I pareri delle istituzioni sono stati sfidati da interventi di singoli che prima della pandemia si occupavano di tutt’altro. Di contro a intere categorie di operatori sanitari impiegati nelle istituzioni sanitarie ogni giorno si sono alzate voci di singoli medici, biologi, virologi e professioni affini che davano versioni diverse da quanto presentato attraverso i mass-media tradizionali. Si è, quasi, arrivati a interpretare la natura della pandemia in base al credo politico: per chi è da una certa parte bisogna fare ancora attenzione, per chi è dalla parte opposta è stato tutto il risultato di una mala-gestione. Si sono mescolate le varie dimensioni intorno alla pandemia: il problema di salute pubblica è stato correlato alla crisi economica, arrivando a negare il valore delle mascherine perché l’Italia non ha fondi a sufficienza per supportare le varie categorie.

Il risultato? Solo una grande confusione e tante persone che oggi, se sentono ancora la parola COVID-19, cambiano canale. E questo è rischioso, dal momento che la pandemia è ancora in atto ed è ancora importante seguire le raccomandazioni.

In un contesto di tal confusione va ripristinata una dimensione normativa, ovvero occorre poter ridire che: non tutto è questione di punti di vista, non tutti hanno ragione, non tutti hanno competenza su ciò che parlano e non tutto è comprensibile senza studiare. Sono frasi che stridono perché i concetti di democrazia e la libertà di pensiero intrinseca alla sua realizzazione sembrano suggerire che tutti possano parlare. E i vari social media lo permettono e lo incentivano, autorizzando la creazione di network di persone che condividono punti di vista a cui si è affezionati. Così mentre la scienza avanza con la cautela che serve per trovare evidenze, canali di pseudo-scienziati presentano effetti collaterali e business farmaceutici di vaccini che ancora non esistono e hanno schiere di ammiratori convinti di tali effetti senza aver mai consultato una pubblicazione scientifica.

Così, serve presentare un decalogo che inviti tutti noi a più silenzio e riflessione, ricordando che:

  1. Parlare di scienza richiede conoscenze specifiche delle metodologie di ricerca, di come vengono pubblicati gli studi scientifici e di come, fondamentalmente, avviene la ricerca.
  2. I talk-show sono creati per tenere il più possibile i telespettatori incollati allo schermo. Mirano agli scontri verbali tra partecipanti e i dibattiti non fanno risaltare chi ha ragione: non bisogna, infatti, scontentare nessuno dei telespettatori.
  3. Non basta essere un medico per fare generalizzazioni valide sul covid-19. È ben diverso se chi parla riporta un punto di vista personale oppure uno studio scientifico pubblicato, e se lo studio è suo o fatto da altri.
  4. Le teorie del complotto sono persuasive perché azzerano i tecnicismi della scienza, presentando storie accattivanti e danno spiegazioni facili da capire di fenomeni complessi e in fase di studio.
  5. Le fake-news possiamo divulgarle anche noi intenzionalmente, qualora inviamo informazioni che non sappiamo essere false e che non verifichiamo.
  6. Non è un dovere quello di commentare qualsiasi cosa. Leggere un libro è, spesso, un migliore investimento del nostro tempo.
  7. Guardare troppo la televisione e fare surfing in rete per ore al giorno non fa bene.
  8. È bene dubitare di quanti presentano versioni interpretative in disaccordo con tutte le istituzioni e le testate giornalistiche. È decisamente improbabile che nel 2020 “la verità” sia in mano a una sola persona, soprattutto se ha ragioni politiche, economiche o di mancata carriera a inveire contro il sistema.
  9. La differenza tra esperti e non esperti in una determinata disciplina non è questione di punti di vista. Per diventare esperti in una disciplina scientifica servono i corsi di laurea, le specializzazioni e gli anni di pratica. Ugualmente, per diventare esperti nella tecnica dell’acconciatura serve una formazione specifica e anni di pratica. Leggere qualche articolo su un tema non rende esperti. Dire a qualcuno “non sei esperto su questo tema” non è un’offesa.
  10. Già Socrate ci ha ricordato che la parola ignoranza deve far parte del vocabolario corrente e dobbiamo usarla su di noi con abbondanza, essendo poche le aree su cui ciascuno di noi può veramente parlare in modo informato.

Alium silere quod voles, primus sile. Ovvero, se vuoi che l’altro stia in silenzio, stai zitto per primo…

 

 

 

 

 

Tags: DecalogoFakeNewsSaraRubinelli
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