La tecnologia si sta evolvendo sempre più fino ad essere parte della vita quotidiana di molti bambini e studenti. Gli adolescenti, inoltre, si approcciano molto presto ai social ed alle possibilità offerte dalla tecnologia. Vediamo, in questa intervista a Carla Garlatti, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e già magistrato, quali sono i potenziali rischi, ma anche le opportunità per educare i futuri adolescenti all’uso dei social e del web.
In che modo il periodo del lockdown e la didattica a distanza hanno messo in risalto le disuguaglianze tra i bambini e gli adolescenti?
Le misure adottate per contenere la pandemia hanno avuto un forte impatto, facendo emergere disomogeneità sociali e territoriali. La didattica a distanza, in particolare, ha evidenziato disuguaglianze nella disponibilità di strumenti e di spazi adeguati allo studio, nell’accessibilità della rete e nella connettività.
Quali saranno gli effetti per i bambini e i ragazzi dovuti a quasi due anni di Dad?
La didattica a distanza sembra aver avuto effetti sulle capacità di apprendimento dei ragazzi e forse anche sul tasso di dispersione. Su questo aspetto l’Autorità garante ha in corso una ricerca, condotta con l’intervento di esperti. Ci sono poi anche gli effetti legati alla prolungata solitudine e alla mancanza di socialità: la scuola non è soltanto luogo di apprendimento, ma anche occasione per imparare a confrontarsi e a stare con gli altri. La prolungata inaccessibilità degli edifici scolastici ha inoltre prodotto conseguenze sulla salute mentale e sul benessere dei ragazzi, che si sono manifestate sotto forma di preoccupazione, ansia, stress, disturbi del sonno e dell’alimentazione, in alcuni casi anche di atteggiamenti aggressivi o autolesionistici. Per approfondire le conseguenze della pandemia sulla salute mentale dei minorenni, l’Autorità garante ha avviato uno studio scientifico su scala nazionale in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità. La Dad ha avuto però anche effetti positivi: oltre a non far interrompere le lezioni ha permesso ad alcuni ritirati sociali di conseguire un diploma.
Quali sono i compiti della famiglia nell’educazione dei minori e quali invece i compiti dell’istituzione scolastica?
Tradizionalmente, la famiglia rappresenta la prima agenzia educativa. I genitori hanno la responsabilità di accompagnare la crescita dei figli e al contempo di orientare, vigilare e controllare senza impedire ai bambini e ai ragazzi di formarsi una personalità, di sperimentare e di trovare la loro strada. Accanto alla famiglia è la scuola a giocare un ruolo fondamentale, perché rappresenta il centro della vita dei ragazzi, il luogo dove si mettono alla prova e imparano a gestire le relazioni con i pari e con gli adulti. Bisogna però superare la tradizionale dicotomia che vede nella famiglia e nella scuola due universi separati e distinti per accedere a una visione circolare dell’educazione, dell’istruzione e dell’apprendimento in cui le diverse agenzie educative dialogano tra loro e con la comunità, mettendo al centro i bambini e i ragazzi e il loro interesse.
Secondo uno studio interno a Facebook, pubblicato dal Wall Street Journal, Instagram sarebbe dannoso per gli adolescenti, in particolare per le ragazze, poiché le porta a vedersi in modo inadeguato rispetto agli standard mostrati in rete; lei pensa che sia così? È dunque corretto porre dei limiti d’età per iscriversi a determinati social media e social network?
I social in generale sono caratterizzati da meccanismi che premiano chi riesce a richiamare l’attenzione sul proprio profilo. Se a ciò si aggiunge una cultura che spinge a mostrarsi per avere la percezione di esistere – alimentata spesso dai genitori sin dalla più tenera età con fenomeni come lo sharenting – il rischio di sovraesposizione dei minori diventa elevato. Da ciò possono derivare comportamenti alimentari scorretti, partecipazione a challenge estreme, atti di autolesionismo, senso di inadeguatezza, ma pure adultizzazione e ricerca della notorietà a ogni costo, per non dire della diffusione incontrollata di dati personali. Un argine potrebbe essere dato dal rispetto puntuale del Regolamento europeo sulla privacy, che in Italia ha fissato a 14 anni (benché l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza si fosse pronunciata per i 16) l’età minima per esprimere, senza l’intervento dei genitori, il consenso al trattamento dei dati necessario per iscriversi a un social. Un limite che viene troppo spesso aggirato per assenza di controlli adeguati da parte dei gestori delle piattaforme e degli adulti di riferimento.
Potrebbe essere possibile educare i bambini in modo da sconfiggere le insidie della rete tra cyberbullismo, hate speech e fake news?
Ciò su cui si deve investire è l’educazione a un uso consapevole e responsabile del web e delle app, come occasione per valorizzare capacità e talenti. Bisogna infatti prestare attenzione a che l’uso della rete non induca a pensare che è necessario un certo numero di like per esistere, perché questo rischia di far perdere interesse per le amicizie e i contatti reali o può indurre a considerare il bullismo o il linguaggio violento meno dannosi in quanto vengono compiuti attraverso lo schermo. In questo senso la scuola riveste un ruolo fondamentale: è importante rafforzare le iniziative sin dalla primaria e sfruttare le opportunità offerte dalla legge 92/2019 che ha introdotto l’educazione digitale come branca dell’educazione civica.