Tra i servizi di messaggistica istantanea utilizzati maggiormente nel nostro Paese figura Telegram, applicazione sviluppata dall’omonima azienda e diretta concorrente di WhatsApp. Oltre che per la sua popolarità, il servizio è salito alle cronache per il fatto di essere un vasto e fertile retroterra per molte attività criminali, in particolare quelle legate alla pornografia minorile e al revenge porn.
Per cercare di arginare le attività illecite sulla piattaforma, si era stabilito che fosse reato scaricare sui propri dispositivi materiale pedopornografico o essere il fondatore del canale. Tuttavia, recentemente, è giunta una svolta molto importante. La sentenza della Cassazione n. 36572, emessa il 4 settembre 2023, stabilisce che anche il semplice fatto di far parte di un gruppo chiuso su Telegram che condivide materiale pedopornografico, anche senza scaricare i file sul proprio dispositivo, costituisce un reato di detenzione di tale materiale.
Dunque, da ora in avanti, la sola iscrizione al gruppo e/o l’ammissione allo stesso da parte degli amministratori può costituire un rischio grave. Questo perché, secondo le nuove norme, il reato di detenzione del materiale pedopornografico non scatta più solo quando questo viene scaricato, ma anche quando viene ricercato e consultato online. Ecco perché anche solo far parte del canale equivale a detenerlo.
Si legge nella pronuncia che “non vi è alcuna differenza tra un’operazione di download dei file fatta sul proprio cellulare o su altro dispositivo e l’accesso incondizionato ad un archivio condiviso tra i partecipanti ad una chat: in entrambi i casi l’agente ha piena ed incondizionata possibilità di fruire del materiale archiviato, indipendentemente dal fatto che sia stato lui stesso o altri ad aver effettuato l’operazione di salvataggio”.
Si ricorda che l’articolo 600 quater del Codice penale stabilisce per questo tipo di condotta la reclusione fino a tre anni o la multa non inferiore a 1.549,00 euro.
Ipotizziamo però che un utente entri senza saperlo all’interno di uno di questi gruppi. Tale eventualità non è da escludere, poiché i canali che condividono materiale pedopornografico usano spesso dei nomi che rimandano a tutt’altre tematiche e questioni, così da non attirare l’attenzione. La Cassazione ha stabilito che il reato non scatta in automatico per il solo fatto di aver chiesto di accedere alla chat. La legge fa una distinzione tra chi si unisce a un gruppo consapevolmente e chi vi entra per caso. Coloro che rientrano nel secondo scenario non possono essere incriminati poiché è necessaria, da parte del soggetto, la consapevolezza di entrare a far parte di un canale che condivide materiale illecito.
Le persone che inavvertitamente si ritrovano dentro a uno di questi gruppi devono abbandonarli immediatamente e, anche se non è obbligatorio, segnalarli alla Polizia Postale.
S.F.