È possibile incorrere nella diffamazione anche attraverso i nuovi mezzi di comunicazione tecnologici. In particolare i messaggi inviati attraverso questi, che vengono inoltrati non ad una moltitudine indistinta di persone, ma solo agli iscritti ad un determinato gruppo (come nelle chat private o chiuse), vanno considerati come corrispondenza privata, chiusa ed inviolabile. In realtà sulle offese via social il dubbio tra diffamazione e ingiuria rimane, e, anche se la Corte preferisce considerare caso per caso, ha stabilito questa casistica: se il messaggio viene visualizzato subito dalla persona offesa, allora quest’ultima ha la possibilità di replicare ed evitare la propagazione dell’offesa stessa. In questo caso, si parla di ingiuria aggravata. Ma nel caso in cui l’utente offeso non ha immediato accesso su WhatsApp e non ha modo di visualizzare il messaggio all’istante, si parla di diffamazione.
La sentenza 10 giugno 2022 n. 28675 è stata pronunciata a seguito di una vicenda posta all’attenzione della Corte di Cassazione. L’ imputata aveva inviato plurimi messaggi scritti e audio dal contenuto pesantemente offensivo in una chat di WhatsApp a cui partecipavano un suo contatto (il soggetto offeso) ed altre giovani ragazze. Lui le aveva restituito un cucciolo di cane che l’imputata gli aveva regalato perché non era in grado di accudirlo. A seguito dei messaggi pesanti inviati dall’imputata, la persona offesa aveva immediatamente replicato.
In questo caso, da cui si è generata la sentenza, la Cassazione ha ribadito che l’offeso era nella condizione di interloquire direttamente ed in tempo reale con l’offensore. La circostanza che all’ascolto vi fossero altri utenti ha semplicemente portato il fatto ad esser qualificato come ingiuria aggravata dalla presenza di più persone.
La disanima della Cassazione è avvenuta innanzitutto richiamando un recente precedente (13252/2021) dove ci si era interrogati sulla natura ingiuriosa o diffamatoria dell’invio di e-mail a più destinatari, tra cui anche l’offeso.
In seguito, la Cassazione ha operato una schematizzazione delle situazioni concrete in rapporto ai vari strumenti di comunicazione che possono dare luogo ai reati in parola.
Nel precedente evocato si sosteneva che:
– l’offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altre persone;
– l’offesa diretta a una persona distante costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario;
– se la comunicazione a distanza è indirizzata ad altre persone oltre all’offeso, si configura il reato di diffamazione;
– l’offesa diretta a una persona assente e comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre la diffamazione.
Tuttavia, nel 2020 si sono registrati diversi contrasti giurisprudenziali a proposito di diffamazione online.
Con la sentenza 17 gennaio 2019 n. 7904, V Sezione penale, la Corte di Cassazione ha ribadito che ledere l’altrui reputazione in una chat di WhatsApp costituisce diffamazione, mentre il non depenalizzato dà luogo al reato di ingiuria. “La eventualità che tra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona nei cui confronti vengono formulate le espressioni offensive non può indurre a ritenere che, in realtà, venga, in tale maniera, integrato l’illecito di ingiuria (magari, a suo tempo, sub specie del delitto di ingiuria aggravata ai sensi dell’art. 594, comma 4, c.p.), piuttosto che il delitto di diffamazione, posto che, sebbene il mezzo di trasmissione/comunicazione adoperato (‘e-mail’ o ‘internet) consenta, in astratto, (anche) al soggetto vilipeso di percepire direttamente l’offesa, il fatto che messaggio sia diretto ad una cerchia di fruitori – i quali, peraltro, potrebbero venirne a conoscenza in tempi diversi -, fa si che l’addebito lesivo si collochi in una dimensione ben più ampia di quella interpersonale tra offensore ed offeso”.
Con la successiva sentenza del 25 febbraio 2020, la V Sezione penale sembra assumere una posizione contrapposta in quanto parrebbe confinare il siffatto atteggiamento all’ormai abrogato art. 594 c.p. in virtù della “presenza” dell’offeso.
A parer di chi scrive, il contrasto non sussiste in quanto, nel caso più recente esaminato in sede di legittimità nel 2020, la condotta dell’imputato è consistita in una comunicazione con video chat (in diretta) con la persona offesa, anche se con modalità accessibili ad un numero indeterminato di persone.
Con la nuova sentenza del 10 giugno 2022 n. 28675, la Cassazione è intervenuta sul tema delle offese sulle chat messaggistiche di gruppo decretando che la percezione della vittima configura due tipologie diverse di reato: da un lato l’ingiuria aggravata, dell’altro la diffamazione.
I servizi di messaggistica tramite chat consentono l’invio di messaggi a una pluralità di soggetti nel medesimo momento, lasciando poi ai partecipanti di tali gruppi la facoltà di leggere immediatamente o successivamente.
Dunque, la Corte stabilisce che se la persona offesa sta consultando la chat e legge un messaggio offensivo, avendone immediata conoscenza, si tratterrà di un’offesa espressa nel corso di una riunione “a distanza” (o “da remoto”) tra più persone contestualmente collegate e si tratterà di ingiuria.
Se la persona offesa non è più collegata e viene successivamente a conoscenza delle offese che le vengono rivolte, si configura il reato di diffamazione, in quanto le comunicazioni (scritte o vocali) erano indirizzate all’offeso e a altre persone non contestualmente “presenti”.
La differenza sta nella presenza attiva o meno, seppur virtuale, della persona offesa nella chat. Il fattore tempo risulta determinante.