CINA, LA PIÙ GRANDE CAMPAGNA DI DISINFORMAZIONE SUI SOCIAL MEDIA SCOPERTA E NEUTRALIZZATA DA META

Il 29 agosto, il dipartimento di Meta dedito alla difesa dalle minacce online ha pubblicato il Q2 Adversarial Threat report, documento attraverso cui la multinazionale annuncia di aver debellato la più grande rete di influenza segreta mai conosciuta. L’analisi di questo caso è interessante per comprendere con maggiore chiarezza il funzionamento delle fake news in rete e i rischi ad esse collegate.

Partiamo dal principio. Alcuni ricercatori hanno iniziato ad utilizzare l’espressione Spamouflage Dragon per indicare una rete multipiattaforma a cui la Cina si affidava al fine di promuovere una narrazione volta a restituire un’immagine benigna, cooperativa e rispettosa del Paese. In questo autoelogio, la comunicazione era orientata a celebrare la Cina e criticare l’Occidente, colpendone in particolare gli oppositori, compresi giornalisti e ricercatori.

La campagna di disinformazione si era presto diffusa in numerose nazioni, quali Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Giappone e Taiwan, andando a prendere come target di riferimento gli utenti di lingua cinese sparsi per il globo e strutturandosi su molteplici piattaforme di cui tra le principali figurano X (ex Twitter), YouTube, Facebook e TikTok.

L’arma utilizzata per gettare fango sulla politica estera occidentale sono state una serie di fake news, di cui la principale era un dossier di una sessantina di pagine inerente alla pandemia di Covid -19, volto a dimostrare che l’origine del virus non è da collegare alla Cina, ma agli Stati Uniti. A supporto del file cartaceo vi erano anche video, caricati su YouTube e Vimeo in cui si dichiarava che gli USA avevano nascosto la verità sul virus.

Secondo i rapporti emanati da Meta, a fronte di un investimento di circa 3500 dollari, risulta che oltre mezzo milione di account abbiano cominciato a seguire le pagine della rete che condividevano queste notizie.

L’azienda di Zuckerberg si era dunque attivata per eliminare il più velocemente possibile la minaccia e non ha incontrato grosse difficoltà. Infatti, era abbastanza semplice per gli algoritmi identificare i post e gli account associati all’operazione cinese. Spesso i commenti venivano pubblicati con dei numeri di serie, segno che erano stati precedentemente copiati e incollati da una lista. Inoltre, molte delle pagine utilizzate ai fini dell’operazione venivano acquisite da account già esistenti, senza però eliminare i contenuti già creati. Ecco che allora pagine dedite alla vendita di prodotti finivano per trasformarsi in strumenti di propaganda. Come se non bastasse, immancabili erano i refusi e gli errori ortografici, che facevano perdere di credibilità i contenuti pubblicati.

Insomma, anche se le dimensioni assunte dalla campagna di disinformazione sono state rilevanti, essa è stata debellata con facilità. In aggiunta, il report emanato da Meta sottolinea che molti follower dietro a questa operazione erano bot, con la conclusione che la copertura effettiva su un pubblico reale è stata relativamente bassa.

In una denuncia penale presentata ad aprile 2023, il Dipartimento di Giustizia statunitense ha accusato 34 ufficiali dell’intelligence cinese presso il Ministero cinese della Pubblica Sicurezza (MPS) di essere gli ispiratori di una campagna segreta di propaganda sui social media. A questi si aggiungono anche numerosi membri delle forze dell’ordine cinesi, che davano linfa vitale all’operazione direttamente dalla loro patria.

S.F.