Una decisione sorprendente, appresa dalle redazioni solo qualche ora prima dell’annuncio. Il terremoto in casa Gedi, il gruppo editoriale che, nel consiglio d’amministrazione di qualche giorno fa, ha perfezionato l’acquisto del gruppo ceduto dalla Cir della famiglia De Benedetti per 102,4 milioni di euro, si è tradotto in un giro di valzer in alcune delle testate più importanti d’Italia. Ancora una volta la stampa viene risucchiata nel vortice di intrecci di potere, dietro i quali si staglia nitidamente la figura di John Elkann, presidente del gruppo Gedi ed erede di Gianni Agnelli.
Carlo Verdelli, che proprio in queste ore avrebbe dovuto essere ucciso, stando alle minacce anonime subite di recente, e che proprio per questo era stato messo sotto scorta dal Ministero dell’Interno, viene sostituito alla guida di Repubblica da Maurizio Molinari, che lascia la direzione del quotidiano La Stampa di Torino a Massimo Giannini, che si occuperà anche delle testate locali del gruppo. All’Huffington Post, al posto della dimissionaria Lucia Annunziata, approda come direttore Mattia Feltri, figlio di Vittorio, che tuttavia manterrà la sua rubrica sul quotidiano torinese.
La redazione del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari non ha preso affatto bene l’avvicendamento, anzi ha proclamato immediatamente un giorno di sciopero (venerdì la Repubblica non era in edicola e l’edizione on line non è stata aggiornata fino a mezzanotte) contestando, in un comunicato ufficiale, la “tempestività imbarazzante” dell’editore nel rimuovere Verdelli, con riferimento sia alle minacce di morte ricevute da quest’ultimo sia ai sacrifici sopportati dai giornalisti del gruppo in questa fase così difficile della vita del Paese, a causa della pandemia.
Ora il gruppo Gedi è ancora più proiettato verso la valorizzazione dell’informazione digitale in una dimensione internazionale, considerato che John Elkann è anche e soprattutto presidente di Exor che, con un fatturato di 144 miliardi di euro, è la prima impresa industriale privata in Italia e detiene il 43% dell’Economist.
Repubblica, dunque, cambia pelle. I lettori potranno scordarsi i titoloni aggressivi a carattere cubitali così in voga con Verdelli, che aveva ingaggiato una vera e propria battaglia contro il sovranismo, arrivando ad attaccare ripetutamente e sul piano personale uno dei leader dell’opposizione come Matteo Salvini. Molinari, esperto di politica estera, per anni inviato negli Stati Uniti e in Israele, ha un’impronta decisamente più moderata, è un atlantista convinto e un centrista in politica interna. Avrà una delega ampia, essendo stato nominato anche direttore editoriale dell’intero gruppo Gedi. Un chiaro segnale che Repubblica intende contendere al Corriere della Sera la platea più conservatrice e ammorbidire nel tempo i toni aspri usati negli ultimi 14 mesi di direzione Verdelli.
Come reagirà Urbano Cairo, che proprio nei giorni scorsi ha annunciato di non voler assegnare i dividendi agli azionisti e di voler venire incontro ai giornalisti in questa fase così delicata per il loro lavoro, assumendo alcuni precari storici e un nuovo giornalista ogni due prepensionati?
E Verdelli come l’avrà presa? Stando ad alcune ricostruzioni giornalistiche, non bene, se è vero che starebbe già valutando l’offerta dell’editore Feltrinelli di guidare un nuovo quotidiano on line al quale garantirebbero le loro firme Gad Lerner, Francesco Merlo e addirittura Roberto Saviano. Fantagiornalismo? Si vedrà.
Intanto il giornalismo cosiddetto di destra ha ben altri pensieri. L’Ordine dei giornalisti della Campania ha presentato per competenza all’Ordine della Lombardia un esposto contro le parole di Vittorio Feltri sui meridionali (definiti “inferiori”) e in particolare i napoletani, pronunciate durante la trasmissione “Fuori dal coro”, condotta su Rete 4 da Mario Giordano. Il Presidente dell’Ordine lombardo ha già inoltrato tale denuncia al consiglio di disciplina. Lo scrittore Maurizio De Giovanni e il senatore Sandro Ruotolo hanno deciso di agire contro Feltri in sede civile e penale, ipotizzando una violazione della legge Mancino, che punisce le manifestazioni di odio. Fioccano petizioni e post indignati da parte di migliaia di giornalisti che auspicano la radiazione di Feltri dall’Ordine. Perfino i leader del centrodestra come Giorgia Meloni hanno preso le distanze da Feltri, quanto meno per il linguaggio utilizzato. Il diretto interessato ha poi reagito sui social accusando i suoi avversari di aver strumentalizzato le sue parole. E ieri sera l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha aperto un procedimento ai danni di Rti (Mediaset) per violazione del Regolamento sul linguaggio d’odio.
Al di là dei risvolti di legge e deontologici, è innegabile che episodi del genere, a prescindere da come la si pensi, non fanno bene al giornalismo, già fortemente compromesso nella sua autorevolezza e autonomia dalla crisi del settore, dalla crescente politicizzazione nella gestione dei media e dal dilagare delle piattaforme social, che in qualche modo soddisfano le esigenze informative di milioni di italiani, rendendo meno indispensabile l’informazione professionale, soprattutto quando si tinge così tanto di volgarità. La verità è che in questo caso non ne esce bene neppure un giornalista di solito attento e ben documentato come Giordano che, anziché prendere le distanze da Feltri, si è limitato a rimproverarlo per aver fatto arrabbiare i campani, una fetta importante del suo pubblico. <Se mi cambiano canale è un guaio>, ha affermato il conduttore. Francamente un po’ pochino, di fronte a una uscita così infelice come quella di Feltri.