CRITICA DIGITALE: IL CONFINE È LA VERIFICA DELLE FONTI

La Cassazione penale, quinta sezione, con la sentenza n. 28621/2025 ricorda a noi tutti che il diritto di critica online non è un lasciapassare: senza verifica delle fonti, il “libero pensiero” si trasforma in diffamazione. Nel caso trattato dalla citata sentenza l’imputato su Facebook dava del “cocainomane” a un assessore. 

Carcere per l’imputato? No. 

Fine dell’improvvisazione dopo la sentenza di condanna? Certamente. 

I Punti salienti della sentenza

  1. Cronaca/critica per chiunque, ma con metodo
    La Corte ribadisce: la critica è esercitabile anche da non giornalisti (art. 21 Cost.; art. 10 CEDU), ma vale la triade: verità del fatto presupposto (anche putativa, purché incolpevole), pertinenza e continenza. Nel caso in esame è saltato il primo pilastro: l’imputato a sua difesa invocava “sentenze” a sostegno ma non dimostrava come esse rendevano vero l’addebito; soprattutto, quelle decisioni non attestavano la verità del fatto attribuito, bensì dubbi sull’autore della precedente diffamazione. Dunque, per la Cassazione nessuna verità (neppure putativa) e, pertanto, niente scriminante ex art. 51 c.p. 
  2. Onere di verifica delle fonti
    La Cassazione alza l’asticella: non è sufficiente richiamare il dispositivo; occorre confrontarsi con la motivazione. È un onere “qualitativo”: l’imputato (laureato in giurisprudenza, lettore abituale di sentenze) avrebbe dovuto cogliere che l’assoluzione del terzo non certificava l’uso di droga della vittima. Se mancano fonti attendibili o una convinzione incolpevole, la critica degrada a mera invettiva. 
  3. Querela tempestiva nell’online
    La diffamazione è un reato di evento: si consuma quando i terzi percepiscono il contenuto; sul web, normalmente, c’è prossimità tra messa in rete e cognizione della persona offesa. Ma attenzione: la vittima può provare di aver saputo anche dopo; nel caso di specie lo aveva fatto mediante la segnalazione di altri assessori. La querela è quindi nel caso in parola per la Cassazione tempestiva. 
  4. Attenuanti generiche negate
    Nessun obbligo di riconoscerle: il diniego è motivato da precedenti specifici dell’imputato (diffamazione, calunnia) e da un precedente per atti persecutori. 

Commento pratico

Conclusione

La lezione è semplice: nel digitale la critica vive di fatti verificati. Se il pubblico ministero ha il dovere della prova, il “critico social” ha il dovere della verifica della fonte. 

Domanda finale: arriveremo a codificare, per gli utenti con specifiche competenze (giornalisti, giuristi, influencer “professionali”, eccetera), un “preteso” standard di diligenza graduato anche ai fini penali? Per ora il messaggio è chiaro: Internet non fa sconti, quando attribuisci un fatto, servono fonti e controllo serio.

di Daniele Concavo – Avvocato del Foro di Milano con particolare esperienza nel mondo del Fitness e nella tutela della reputazione aziendale e personale. 

L’Avv. Concavo è Cultore della materia di Diritto dell’informazione, Diritto europeo dell’informazione e Regole della comunicazione d’impresa con il Professore Ruben Razzante all’Università Cattolica di Milano.