Food delivery: multe salate a Deliveroo, Glovo, Just Eat ed Uber Eats

La Procura di Milano ha aperto un’indagine sulle società che consegnano cibo a domicilio, tra le principali Just Eat, Uber Eat, Deliveroo e Glovo. Sono state inflitte ammende per 733 milioni sulla sicurezza: i fattorini, i cosidetti “driver” devono infatti essere assunti e contrattualizzati, poiché meritano di essere tutelati come tutti gli altri lavoratori.

I reati contestati dalla Procura di Milano rientrano per lo più nell’alveo della legge 81 del 2008 relativa alle norme in materia di salute e sicurezza dei lavoratori. Ad occuparsi delle indagini il Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro: gli agenti hanno riscontrato attraverso le testimonianze di oltre mille rider a Milano e nei principali centri italiani, elementi che mettono in luce particolari obblighi di sicurezza del tutto incompatibili col profilo contrattuale dei riders, che in “teoria” sarebbero lavoratori autonomi.  In pratica le principali aziende di food delivery sarebbero incappate in molteplici violazioni di obblighi in materia assicurativa e in materia di dotazioni di sicurezza dei mezzi.

Stando a quanto riferito, inoltre,  questa multa sarebbe in realtà una porta anti-panico per evitare conseguenze penali peggiori. In questo modo le società di Food Delivery, pagando entro 90 giorni tale sanzione, eviterebbero conseguenze peggiori sotto altri profili di sicurezza.

Secondo gli inquirenti, in tali aziende per i responsabili dei rider si profilerebbe una sorta di colpa di “caporalato digitale”, cosa che impedisce ai lavoratori di accedere sia ai contributi Inail che Inps. Per la Procura di Milano, oltre «60mila lavoratori» di queste società dovranno essere assunti dalle aziende come “lavoratori coordinati e continuativi”.

Le indagini sono iniziate dopo vari infortuni stradali durante il lockdown e hanno portato i pm a stabilire che i rider non sono affatto lavoratori autonomi, ma subordinati. Solo che a gestirli non è un capoufficio in carne e ossa, ma un’intelligenza artificiale che ne misura il rendimento e ne identifica la posizione e la velocità. E le condizioni di lavoro sono tali che il procuratore capo Francesco Greco è arrivato a parlare di “schiavismo” nei confronti di persone che, soprattutto durante il lockdown, “hanno svolto una funzione essenziale sia per portare da mangiare a un sacco di gente sia per permettere a molte imprese di sopravvivere”.

Nell’inchiesta sono indagate sei persone. “Sono emersi pagamenti fatti online e non sappiamo dove vengono recepiti, ma il rapporto di lavoro e l’organizzazione dei rider è guidata sul territorio italiano – spiega ancora Greco –. Sono stati sentiti moltissimi rider, analizzate le modalità di lavoro e le conseguenze di eventuali comportamenti in caso di caduta del ranking di un rider e quindi la possibilità di non dare lavoro a chi si era fermato per bisogni fisici. La conclusione è che si tratta di un rapporto di lavoro subordinato. Non è più il tempo di dire sono schiavi, è il tempo di dire che sono cittadini che hanno bisogno di una tutela giuridica”, conclude.