Un recente e cruciale pronunciamento delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione getta una luce definitiva su un tema di fondamentale importanza per il giornalismo, in particolare quello giudiziario: il delicato equilibrio tra il diritto di cronaca e la tutela della reputazione. La sentenza n. 13200 del 2025 affronta direttamente il contrasto interpretativo che si era creato tra le sezioni civili e penali della stessa Corte riguardo a inesattezze apparentemente minori, ma potenzialmente devastanti per l’immagine di una persona
Il Cuore della Vicenda: Un Articolo, un Errore, una Lite Legale
Tutto nasce dalla causa intentata da un finanziere contro un settimanale, il suo direttore e il giornalista autore di un articolo. L’accusa? Averlo descritto come “imputato per truffa”, mentre, al momento della pubblicazione, era solo indagato per tentata truffa. Una differenza sottile per il lettore comune, ma sostanziale per chi vive le dinamiche giudiziarie e per la sua reputazione professionale. Il Tribunale, in primo grado, aveva respinto la richiesta di risarcimento, ritenendo che l’errore non avesse alterato la sostanza dei fatti. La Corte d’Appello, però, ha ribaltato la decisione, riconoscendo il carattere diffamatorio dell’articolo e condannando i responsabili. Da qui, il ricorso in Cassazione che ha portato la questione all’attenzione delle Sezioni Unite.
Le Domande Cruciali Sottoposte alla Corte Suprema
La Prima Sezione civile ha rimesso la causa alle Sezioni Unite per risolvere due questioni centrali, considerate di “massima di particolare importanza” e oggetto di “contrasto interpretativo”:
- Qual è il rilievo, ai fini della diffamazione o dell’esimente del diritto di cronaca, dell’attribuire a un soggetto la qualità di imputato invece di quella di indagato? Si tratta di una mera “inesattezza secondaria” o di un errore sostanziale capace di ledere la reputazione, e quindi diffamatorio?
- Lo stesso vale per l’attribuzione di un reato consumato (truffa) invece di un reato tentato (tentata truffa)?
L’Analisi Profonda delle Sezioni Unite
La Corte ha innanzitutto riaffermato il ruolo fondamentale del diritto di cronaca (Art. 21 Cost., Art. 10 CEDU) come “pietra angolare dell’ordine democratico”. Tuttavia, ha ricordato che esso incontra limiti invalicabili nei diritti della personalità, come l’onore e la reputazione (Art. 2, 3 Cost.). Quando la cronaca eccede questi limiti, si configura la diffamazione, fonte di responsabilità sia penale che civile.
L’esimente del diritto di cronaca si basa sul rispetto di alcuni principi, tra cui il più importante è la verità della notizia. La Corte ha sottolineato che non si pretende una verità assoluta, ma una “verità putativa”, frutto di un’indagine giornalistica diligente e scrupolosa. Ergo, l’errore è scusabile ma solo se incolpevole.
Entrando nel merito della cronaca giudiziaria, la Corte ha evidenziato la sua particolare rilevanza sociale e il rapporto con il principio della giustizia amministrata “in nome del popolo” (Art. 101 Cost.). Tuttavia, il diritto di cronaca deve sempre bilanciarsi anche con la presunzione di non colpevolezza (Art. 27 Cost.).
Ed ecco il nodo cruciale affrontato dalle Sezioni Unite: la distinzione tra indagato e imputato. La Corte è categorica: l’erronea attribuzione dello status di imputato, anziché di indagato, non è affatto una “mera inesattezza secondaria”. Perché? Perché altera profondamente la percezione sociale del grado di coinvolgimento del soggetto nella vicenda penale. L’avviso di conclusione indagini (art. 415-bis c.p.p.) esprime un proposito potenziale del Pubblico Ministero, non necessariamente seguito dalla richiesta di rinvio a giudizio. Solo quest’ultima, presentata dal PM, segna l’effettivo esercizio dell’azione penale e il cambio di status da indagato a imputato. Confondere questi passaggi, o descrivere l’avviso come una richiesta di rinvio a giudizio significa tradire la funzione informativa e compromettere la reputazione.
Analogamente, l’attribuzione di un reato consumato al posto di uno tentato rappresenta un’inesattezza che può avere valenza diffamatoria. Il reato tentato ha un disvalore intrinseco e una sanzione meno grave rispetto a quello consumato. Pertanto, l’errore non è marginale ma incide sulla percezione della gravità del fatto attribuito.
La Scappatoia del Contesto (Ma Attenzione!)
Tuttavia, la Corte introduce un’importante “scappatoia”: la natura diffamatoria di tali inesattezze, benché configurabile in astratto, può venire meno sole se il contesto complessivo dell’articolo rende in modo “affatto chiaro ed inequivocabile” la verità sostanziale della notizia. In altre parole, se la lettura integrale e attenta dell’articolo corregge senza ombra di dubbio l’errore presente magari nel titolo o nelle prime righe, l’offensività potrebbe essere esclusa. Questa valutazione, però, è riservata al giudice di merito e deve basarsi sul peso effettivo dell’inesattezza sull’intero testo.
La Decisione Finale e le Sue Implicazioni
Alla luce di questi principi, le Sezioni Unite hanno rigettato il ricorso per Cassazione dei convenuti, confermando la condanna della Corte d’Appello. L’articolo incriminato aveva erroneamente dato per certa la richiesta di rinvio a giudizio e aveva attribuito alla persona offesa il ricevimento di una grossa somma di denaro nell’ambito della truffa consumata, fatti non veri o non provati rispetto alla sua posizione di indagato per tentata truffa.
Questo pronunciamento delle Sezioni Unite è fondamentale perché:
- Supera il contrasto tra le diverse interpretazioni giudiziarie sulla rilevanza delle distinzioni processuali e sulla gravità delle inesattezze;
- Rafforza la tutela della reputazione degli indagati nella cronaca giudiziaria, stabilendo che l’erronea attribuzione dello status di imputato o di un reato diverso/più grave non è una mera inesattezza, ma un’alterazione sostanziale della verità della notizia, capace di ledere la reputazione;
- Sottolinea l’importanza della diligenza e dell’accuratezza per i giornalisti che si occupano di cronaca giudiziaria, richiedendo una fedeltà sostanziale ai fatti e agli atti processuali.
In sintesi, la massima Corte stabilisce un principio chiaro: confondere “indagato” con “imputato” o “tentato” con “consumato” in un articolo di cronaca giudiziaria costituisce un errore sostanziale che può ledere la reputazione e non è scriminato dal diritto di cronaca, a meno che il contesto complessivo non sia così trasparente da eliminare ogni possibile equivoco diffamatorio.
In conclusione, con questa sentenza le Sezioni Unite offrono un punto di riferimento indispensabile per la cronaca giudiziaria: stabilisce regole precise per distinguere l’informazione lecita dalla diffamazione, superando i precedenti contrasti giurisprudenziali e guidando i giornalisti nell’esercizio responsabile del loro diritto-dovere di una corretta informazione.
di Daniele Concavo – Avvocato del Foro di Milano con particolare esperienza nel mondo del Fitness e nella tutela della reputazione aziendale e personale.
L’Avv. Concavo è Cultore della materia di Diritto dell’informazione, Diritto europeo dell’informazione e Regole della comunicazione d’impresa con il Professore Ruben Razzante all’Università Cattolica di Milano.
Diritto dell’informazione
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