KURAMI: L’AI CHE DIFENDE LA PRIVACY

La protezione dei dati personali non è più solo un compito affidato alle leggi o alle infrastrutture informatiche: oggi anche l’Intelligenza Artificiale può diventare un alleato nella tutela della privacy. È questo lo scopo del progetto italiano KURAMi (Knowledge-based, explainable User empowerment in Releasing private data and Assessing Misinformation in online environments), che unisce università e centri di ricerca con un obiettivo ambizioso: rendere l’AI capace di riconoscere i rischi e di spiegarli agli utenti in modo chiaro.

La ricerca, accettata alla conferenza internazionale IJCNN 2025, sfrutta la tecnologia Retrieval-Augmented Generation (RAG), un approccio che combina i grandi modelli linguistici (LLM) con una base di conoscenza esterna, in questo caso un archivio di articoli scientifici sulla privacy. Il sistema analizza testi, come e-mail, messaggi o prompt, alla ricerca di dati sensibili e, a differenza dei modelli tradizionali, non si limita a bloccare o segnalare l’errore: fornisce una spiegazione, citando le norme e le buone pratiche che giustificano l’avviso.

I test condotti con l’Enron Email Dataset hanno mostrato risultati promettenti: il sistema ha identificato correttamente nomi, numeri di telefono, codici interni e dettagli contestuali, riducendo sia i falsi positivi sia le omissioni. Ancora più importante, ha generato spiegazioni in linguaggio naturale, un passo avanti decisivo per trasformare l’AI in uno strumento educativo. Immaginare un messaggio come “Attenzione: stai per condividere un’informazione potenzialmente sensibile, vuoi davvero inviarla?” non è più un’utopia.

Finanziato da MUR e PNRR, KURAMi non si limita alla privacy, ma punta a contrastare anche la disinformazione, formando utenti più consapevoli. La vera sfida ora è portare questa tecnologia fuori dai laboratori e integrarla nei servizi che usiamo ogni giorno, perché la privacy non è solo un diritto, ma anche un esercizio di coscienza. E un algoritmo che ci spinge a interrogarci prima di condividere diventa più di uno strumento: un’estensione critica della nostra responsabilità.

A.C.


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