Nell’era dei dati, le aziende social, e più in generale quelle del tech, godono di un enorme potere. In virtù della loro influenza, le loro decisioni e azioni non si riflettono solo sul mercato, ma anche sulla società nel suo complesso. Ne deriva che queste aziende hanno una responsabilità notevole nella produzione e, soprattutto, nella diffusione di contenuti sulle loro piattaforme.
Nel 2021, si è arrivati a una situazione particolare, che ha sollevato numerose polemiche proprio in merito agli obblighi delle piattaforme. Quello che è accaduto è che l’Austria ha introdotto una legge che obbliga i fornitori nazionali ed esteri di piattaforme di comunicazione a progettare dei meccanismi per verificare e segnalare contenuti potenzialmente illeciti. La norma, nata dalla crescente preoccupazione di tutelare gli utenti austriaci da contenuti pericolosi (con particolare riguardo ai discorsi d’odio online), prevede una pena fino a 10 milioni di euro se le segnalazioni non vengono pubblicate in modo regolare e trasparente.
La risposta delle aziende social non è tardata ad arrivare. Secondo le succursali europee, con sede in Irlanda, di Google, Meta e TikTok, la legge austriaca è contraria al diritto dell’Unione, in particolare alla direttiva sui servizi della società dell’informazione.
La legge austriaca è stata così impugnata davanti alla Corte di giustizia europea che, interrogata sulla vicenda, ha dato ragione ai privati. La Corte ha infatti ricordato che la direttiva europea mira a garantire la libera circolazione dei servizi della società dell’informazione in tutti gli Stati membri. Il contenuto della direttiva impedisce ai singoli regimi nazionali di poter ostacolare tale diffusione creando un qualche tipo di impedimento, a meno che il blocco alla circolazione dei contenuti sia dovuto a ragioni di ordine pubblico, tutela della sanità pubblica, pubblica sicurezza o la tutela dei consumatori. Al di là di queste casistiche, solo lo Stato membro di origine del servizio può adottare eventuali provvedimenti restrittivi.
Nel caso specifico, gli Stati membri diversi da quello di origine non possono adottare provvedimenti di carattere generale e astratto applicabili indistintamente a qualsiasi prestatore di una categoria di servizi della società dell’informazione. Tale possibilità, secondo la Corte, metterebbe in discussione il principio del controllo dello Stato membro d’origine citato poco fa. Ne deriva che l’Austria non può prendere provvedimenti restrittivi o imporre obblighi alle piattaforme, in quanto sconfinerebbe nella competenza normativa dell’Irlanda, venendo meno al riconoscimento e alla fiducia reciproca tra Stati membri.
In conclusione, Google, Meta, TikTok e le altre piattaforme non sono tenute a predisporre meccanismi di verifica sui contenuti illeciti imposti da un altro Paese.
SF