Per quanto l’intelligenza artificiale possa portare numerosissimi benefici alla nostra società, ci sono alcuni suoi lati che, ancora oggi, ci mostrano anche il suo lato più cupo e sul quale è ancora necessario intervenire. Sotto la lente d’ingrandimento dei ricercatori c’è senza dubbio il problema legato alla discriminazione di genere.
Queste tecnologie, com’è noto, vengono addestrate a lungo e la mole di dati da loro immagazzinata è immensa. Non è raro, però, che tra tali dati ce ne siano molti che contribuiscono ad alimentare stereotipi e comportamenti discriminatori nei confronti delle donne.
Un ambito in cui la problematica emerge particolarmente riguarda è quello delle assunzioni lavorative. Alcune aziende, per facilitarsi il compito, affidano all’IA l’analisi dei curricula dei candidati per poter ricavare tra questi i migliori profili in base alle proprie preferenze. Il rischio è però dietro l’angolo: sono infatti molti gli algoritmi che, alla lettura dei documenti inviati, escludono automaticamente tutti quelli realizzati da donne.
L’IA, di per sé, non sarebbe discriminatoria, a meno che non venga appositamente addestrata per esserlo, direttamente o indirettamente. Il secondo è il caso più diffuso, poiché, in base alla lettura dei dati ad esso forniti, il modello elabora il suo personale algoritmo seguendo le tendenze più diffuse e il linguaggio maggiormente utilizzato.
Se, per entrambi, si tratta di comportamenti discriminatori nei confronti delle donne, ecco che il risultato è un’IA tutt’altro che equa e che, invece che combattere un fenomeno così dannoso, contribuisce involontariamente ad alimentarlo sempre di più. Un risultato che, nei prossimi anni, sarà necessario cambiare il più possibile.
S.C.
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