Gloria Volpato, psicologa e psicoterapeuta, oltre che fondatrice e direttrice del Centro Divenire di Bergamo, Centro di Psicoterapia Umanistica Integrata, in quest’intervista al nostro portale, lancia l’allarme dei danni che sta provocando alla salute mentale di milioni di persone il clima di incertezza generato dalla pandemia. E indica una strada basata sulle sue competenze scientifiche e professionali per impedire la catastrofe sociale.
1) In molti sostengono che la vera seconda ondata di Covid sarà di natura psichica e che i danni di questi disagi sono destinati a durare anni. E’ così grave la situazione? Perchè?
Fra il piano fisico e psichico non c’è distinzione su quello profondo. Io non ragiono in termini di “prima” e “seconda” ondata, bensì in termini di processo che può avere varie fasi. La psiche è un tutt’uno che non segue la temporalità che diamo noi. Siamo una società che ha creduto alla promessa di Prometeo di controllare tutto attraverso la tecnica e la scienza, così l’imprevedibile e soprattutto l’invisibile ci spiazzano e ci sentiamo disarmati. Se non prevediamo un fisiologico spazio di elaborazione interiore si innesca un circolo vizioso. E’ come spostare macerie di qua e di là illudendoci di star ricostruendo una città dopo un terremoto. Per stare nella metafora, e rendere la gravità della cosa, occorre tenere presente che il terremoto è ancora in corso. In cosa consistono le “scosse” al terreno della nostra psiche? non si tratta solo degli eventi traumatici più facilmente identificabili come le ospedalizzazioni, i lutti complicati e i turni stressanti a cui sono stati sottoposti i sanitari, ma del clima emotivo in cui siamo immersi, un clima che parla sia un linguaggio di perdita – della libertà che avevamo prima, del tessuto relazionale, dei valori che ci orientavano nella vita – che di paura: paura di perdere il controllo della nostra vita, paura dell’invasione di un mondo che non capiamo più, paura dell’altro che ci può contaminare e far ammalare, paura del futuro e così via. Dai più piccoli ai più grandi abbiamo dovuto rivedere le nostre vite e stiamo scoprendo che i valori sui quali ci reggevamo non sono più utili per affrontare questo mondo. Il gioco è cambiato e le regole non sono più chiare. Tutto questo richiede grandi sforzi di flessibilità per adattarsi, che in pochi hanno, soprattutto in un paese come il nostro ad alto tasso di analfabetismo funzionale. Siamo come dinosauri di fronte al meteorite Covid: come ci ha insegnato Darwin non è il più forte che sopravvive, ma il più flessibile. Irrigidirsi e lottare per riavere il mondo di prima, senza fare un lutto per questa perdita, è sufficiente per sentirci in uno stato di perenne frustrazione. Stiviamo dosi massicce di frustrazione, quotidianamente. E la frustrazione è il principale combustibile della rabbia. Da qualche parte questa rabbia, se non viene “smaltita”, dovrà pur finire ad un certo punto, non crede? E così per le altre emozioni come la tristezza e la paura. Cocktail di rabbia, tristezza, paura non riconosciuti vengono accumulati e sono gli ingredienti base di tutto lo spettro psicopatologico. Le manifestazioni, poi, dipenderanno dalla struttura psichica di ognuno. E’ chiaro che nell’inconsapevolezza di ciò che ci accade si tenderà a non voler sentire, ad anestetizzarci e quindi a ricorrere a tutti i possibili metodi per non ascoltare cosa ci sta accadendo, a partire dalle nostre sensazioni corporee. Ecco affacciarsi l’abuso di attività fisica, di droghe, psicofarmaci, workalcolismo, dipendenze alimentari, dipendenze affettive, ma anche sviluppo di sintomi ossessivi, come forme illusorie di controllo sulla realtà e di rassicurazione e così via.
Insomma non viene detto che in conseguenza di ciò che è avvenuto è necessario e fisiologico fare pulizia e non scopare lo sporco sotto il tappeto dell’efficientismo in cui ci siamo illusoriamente blindati. Chiunque è in grado di comprendere che sarà più che prevedibile ritrovarsi prima o poi invasi dagli insetti?
Tradotto in termini psicologici significa che mantenere i vissuti separati dal piano cosciente, in termini tecnici si dice scissi, si rimane a rischio di “irruzione” delle emozioni negate, come la paura, la rabbia e la tristezza che abbiamo già accennato con risultati preoccupanti come, quadri ansioso-depressivi, atti etero ed autolesionistici, malattie psicosomatiche. Sono molti gli studi, ormai, che dimostrano che eventi traumatici sono correlati con sviluppo di varie patologie psicosomatiche, tra cui quelle tumorali, ad esempio.
2) Quali sono i segnali più allarmanti che state cogliendo nel vostro quotidiano lavoro di psicologi e psicoterapeuti?
Molte persone si trovano ad affrontare paure e fragilità che avevano sempre tenuto nel cassetto. Si trovano a confrontarsi con un senso di vuoto e di paura che, se non consapevolizzato, si scarica sugli altri in senso paranoico e con movimenti di violenza verso se stessi e gli altri. Questo porta ad un vissuto di chiusura e isolamento in se stessi che fa vivere l’altro come un nemico da cui difendersi e non come una persona che sta vivendo anche lei le nostre stesse paure e incertezze, e che rappresenterebbe una risorsa fondamentale per affrontare la situazione.
I segnali più preoccupanti non arrivano da chi è già in terapia, ma dai racconti che queste persone fanno delle persone intorno a loro e dalle nostre stesse esperienze di vita. Non è chi è in terapia, colui che si è preso la responsabilità del proprio disagio che ci preoccupa, ma chi lo nega, chi va in corsia a lavorare prendendosi ogni piè sospinto “le goccine” autoprescritte di qualche psicofarmaco, chi si sente autorizzato ad attaccare verbalmente una mamma che al parco non mette la mascherina al figlio o chi si è avvicinato troppo al supermercato perché sopra pensiero. Ci preoccupano i bambini che hanno livelli maggiori di iperattivismo oppure che si fratturano parti del corpo con insolita, aumentata frequenza. Ci preoccupano il bisogno di eccessivo movimento fisico, il senso di rassegnazione negli adolescenti e nei giovani adulti che durante il lockdown hanno cambiato severamente il ritmo-sonno veglia e sono arrivati ad essere connessi anche per più di dieci ore al giorno ed ora faticano a riprendere i ritmi scolastici. Ci preoccupano i sanitari che non hanno fatto nessun percorso di elaborazione di gruppo di ciò che è stato per loro attraversare il lockdown, vivono in un costante senso di tensione pensando a cosa potrebbe accadere a breve e si sentono isolati perché in corsia si parla solo il “medicalese” e se non stai bene vai dallo psicologo che ti fa sentire che vali meno di chi non ne ha bisogno, quindi resisti e prendi le goccine. Ci preoccupano le donne che, come funambule, reggono il sistema familiare, lavorativo, scolastico e sanitario cercando di riempire tutte le falle e finiscono sfinite a letto dopo aver svuotato in solitudine il frigorifero. Ci preoccupano tutti coloro che lavorano senza sosta per recuperare tutto il lavoro e tutto il fatturato perso negando sintomi come mal di testa ricorrenti, insonnia, attacchi di rabbia, problemi digestivi, perdita del desiderio sessuale. Ci preoccupano le coppie che si sono lasciate perché uno dei partner è preoccupato dall’essere contagiato dalle persone che l’altro frequenta, si sono chiusi in un mutismo impenetrabile e non c’è via per avvicinarsi e comprendere meglio. Ci preoccupano gli anziani, che non sanno se abbracciare o no il nipotino, che ora che va a scuola e chissà cosa porterà a casa. L’elenco è davvero lungo. Per dirla con uno slogan, ci preoccupano le persone che pensano a “funzionare”, a sopravvivere anziché esistere.
3) Quale messaggio bisognerebbe lanciare, anche attraverso i media, per evitare questa deriva depressiva in atto?
Le faccio subito degli esempi concreti. “E’ NORMALE CHE TU TI POSSA SENTIRE COSI, E’ UN VISSUTO CONDIVISO”. “COME TI STA TRATTANDO LA VITA? PARLARNE E’ GRATIS” Questo tipo di messaggio dovrebbe essere alla base di una massiccia campagna informativa, sui media, in ospedale, sui tram, negli uffici, per strada, che crei simpatia gli uni verso gli altri, che è una delle più grandi forme di vicinanza insieme all’empatia e aiuti ad uscire dalla condizione di Dolore muto, in cui si ritrova la maggior parte delle persone, superando il senso di vergogna nel chiedere aiuto, anche solo condividendo la propria esperienza con qualcun altro e non solo andando dallo psicologo, per intenderci. Simpatia, significa stessa sofferenza, ed è da qui che possiamo, dobbiamo ripartire. Sogno fumetti e cartoni animati fatti dai bambini e dagli studenti che rendano visibili le atmosfere in cui siamo immersi. Un modo per dire: “anche tu avverti quest’atmosfera? Capita anche a te di sentirti cosi?” Una campagna che spinga al riconoscimento reciproco anziché all’isolamento. Occorre un’operazione di pedagogia sociale, di accompagnamento dentro questa fase di transizione che chiederà ad ognuno di cedere qualcosa, come già fa, del suo modo di stare al mondo di prima, per acquisire qualcosa di nuovo. E’ faticoso vero? Allora diciamocelo, costruiamo ponti di solidarietà per scoprire che in questi casi LESS IS MORE, nel senso che alla perdita si affianca un’esperienza di scoperta, di acquisizione. Si tratta di una grande occasione, imperdibile, per ricucire il tessuto psichico sociale ed individuale insieme. Serve una comunicazione che eviti l’infantilismo, per cui o facciamo i bambini obbedienti (ma dipendenti e irresponsabili) o ribelli (che negano il Covid e sono controdipendenti), ma che alimenti la nostra parte adulta, responsabile e di buon senso: “C’E’ UN MODO SICURO CON CUI PUOI ABBRACCIARE. CON GLI OCCHI”. Il Covid ci ha obbligato a mettere in atto una serie di comportamenti sul piano fisico e questo, come sappiamo, ha dato risultati importanti. Come sarebbe se alle azioni di distanziamento, sanificazione ecc., unissimo atteggiamenti di condivisione, gentilezza, comprensione, calma, sostegno? Non sappiamo cosa siano, beh iniziamo per lo meno a parlarne: perché è cercando qualcosa che non si trova, che si possono fare nuove scoperte. Sentiamoci sostenuti a livello istituzionale a dare risposte ad un problema comune e poi condividiamolo… Iniettiamo immagini che rimandino a piccoli atti di disponibilità e attenzione: si tratta di partire da noi, dal cambiamento che vorremmo vedere nel mondo. E’ ciò che ci ha insegnato la scienza: è così che sono avvenute la maggior parte delle scoperte che hanno cambiato il destino dell’umanità, affinando le domande, più che le risposte. Facendo esperimenti: cosa succede se in classe ci scambiamo uno sguardo prima di iniziare la lezione? Se disegniamo un sorriso sulla mascherina quando andiamo in ospedale, se appendiamo le foto delle persone care (non solo quelle morte!) nella bacheca dell’ufficio. Insomma, occorre inventare nuove pratiche per sentirci più accolti, condividere quelle che funzionano. Condividiamo gli apprendimenti e non solo le frustrazioni: in molti sono stati grati all’esperienza del fermo durante il lockdown. Una mia paziente era sull’orlo del suicidio prima del fermo obbligato ed il tempo a casa, dedicato a se stessa, l’ha letteralmente rimessa al mondo: forse è perché abbiamo bisogno di rivedere i nostri ritmi? Servono servizi che rilevino lo stato di salute mentale, specie delle persone che lavorano a casa: sappiamo che lo smart working ha dei risvolti molto problematici sul piano umano.
Impariamo dalle maestre, che ai bambini stanno insegnando che il distanziamento permette di verderci meglio l’un l’altro, di comprendere le nostre diversità, di rispettare lo spazio dell’altro e sapere quando lo stiamo invadendo o ci lasciamo occupare dall’altro. E’ in atto un grande processo di cambiamento che ci ha già portato fuori dal mondo “illimitato” in cui ci avevano illusi di essere, alla realtà del limite. Ma è proprio nel limite che si scopre la propria libertà, la propria potenzialità. Riflettiamo sul fatto che la mascherina ci obbliga a dosare la fatica delle parole, per cui vale la pena soppesarle, eche è necessario rivedere la nostra attitudine a vomitare parole, soprattutto nei media. E’ chiaro che per scoprire il Possibile, come dice Antonio Moresco, occorre avere il coraggio di muoverci verso l’impossibile. So che il mio discorso sarà giudicato per lo più come ingenuo, idealista e visionario. Ma è proprio ritornando al sogno che potremo tracciare ponti di speranza e risveglio, per cui sentire che valga ancora la pena, esserci.
4) C’è qualche caso di disagio psichico grave dovuto al Covid, che l’ha colpita particolarmente? Ce lo racconta?
Per raccontarvelo dovrei entrare nel merito delle storie dei miei pazienti ed essendo, per lo più, ancora in cura, preferirei evitarlo. Non basta cambiare il nome di una persona per proteggere la sua privacy. Gli articoli che scrivo nel blog del Centro che dirigo, che si chiama Divenire Magazine, sono tutti il frutto di un’invenzione, facendo mio l’insegnamento dello psicoterapeuta statunitense Yalom, che ha saputo scrivere romanzi, a partire dalla sua esperienza clinica. In quegli articoli, ad esempio, ho trattato del senso di colpa per una convinzione delirante di aver contagiato la madre e di averne causato la morte. Quando non abbiamo nessuno con cui prendercela, è a noi, che rimandiamo le accuse più feroci.
5) Chi fa discorsi come i suoi spesso viene tacciato di sottovalutare i rischi del Covid. Che cosa risponde?
In che senso li sottovaluterei? Semmai sono io che sto dicendo che il discorso efficientista imperante ne sottovaluta le componenti più virulente. E’ in atto un’infezione psichica e per quella, mi creda, non c’è mascherina che possa evitare il contagio.
6) Che cos’è il Festival della Consapevolezza?
Pur lavorando nell’ambito libero professionale nel mio studio privato, ho sempre sentito la necessità di mantenere un canale aperto con il territorio di provenienza dei miei pazienti e di offrire loro opportunità di formazione oltre che di cura. Così otto anni fa ho iniziato a cercare qualcosa che non c’era, per l’appunto, e ho costruito un percorso di conferenze che all’epoca si chiamavano “Il Potere del Sentire”. Così accidentalmente ho scoperto, dato il successo di pubblico, che la mia idea corrispondeva ad un bisogno. Quello che le ho descritto prima, io l’ho attuato, come farebbe qualsiasi sperimentatore: sono andata sul campo a verificare le mie ipotesi. Ciò che ho scoperto è stato incredibile: persone di tutte le età riuscivano a stare nella stessa stanza perché interessate ai temi che proponevo. Pensi che all’inizio di ogni conferenza chiedevo alle persone di presentarsi agli altri intorno a loro. Non ha idea della gioia e della bellezza che si sprigionavano ogni volta. Così dimostravo quanto incidono le atmosfere emotive intorno a noi sui nostri stati d’animo e contemporaneamente di quanto poco abbiamo bisogno per stare meglio e che molto lavoro andrebbe fatto per prendercene cura. Le persone, specie chi non sarebbe mai venuto nel mio studio perché non se lo sarebbe potuto permettere, venivano puntuali agli incontri mensili che erano, ovviamente, gratuiti. Persone anche anziane, mi dicevano che venivano a prendere la dose di terapia mensile. Cosa succedeva in quelle conferenze? Nulla di tanto straordinario, ma evidentemente di raro. Si parlava di situazioni della vita. Di morte, amore, matrimonio, rapporto con gli altri, odio per se stessi, sofferenza. Insomma niente che non facessero già i greci, solo che nessuno lo fa più. Questa è stata la differenza: tornare a farlo. Nel 2019 ho sentito che questa esperienza aveva bisogno di un’evoluzione così ho creato un vero e proprio festival, invitando – tenga presente che non avevo alcun budget, tutti i relatori venino gratuitamente, io li ospitavo a dormire a casa mia e finanziavo volantini – relatori anche importanti, come il prof. Zoja, a parlare delle cose della vita e organizzando a latere “La palestra del Sentire”, workshops a tema gratuiti in piccoli gruppi in cui fare esperienza, proprio come una palestra. Il Covid è arrivato e così siamo passati al remoto: ho dovuto imparare a fare le dirette facebook, come quella che ho intitolato “Ricuci-amoci”, la sera della vigilia di Pasqua, che ha avuto più di 12000 visualizzazioni in Facebook, ed è stata vista anche da italiani all’estero, in particolare negli Stati Uniti. Questo è ciò che intendevo prima per piccoli esperimenti sociali. Credo che proprio gli artisti, e non solo i cosiddetti esperti, in particolare gli attori, sapranno indicarci una via, se solo saremo disposti a dare loro il valore sociale che meritano.
Gloria Volpato è una psicologa e psicoterapeuta. Ha fondato e dirige il Centro Divenire di Bergamo, Centro di Psicoterapia Umanistica Integrata. Esperta in psicotraumatologia, opera e coordina l’ambulatorio Disturbi del Comportamento Alimentare del Centro Divenire. Ha ideato un ciclo di conferenze “Il Potere del Sentire” nel 2012 e il successo si è evoluto nel Festival della Consapevolezza 2020, conferenze e workshop dedicati al benessere psicologico e alla prevenzione del disagio psichico con il patrocinio gratuito del Comune di Mozzo (Bg). Durante l’emergenza Covid-19 ha attivato con la sua equipe un servizio gratuito di pronto intervento psicologico attraverso colloqui e videoconferenze sulla pagina Facebook del Centro Divenire. Si occupa prevalentemente di adulti e giovani adulti attraverso interventi individuali, di coppia e di gruppo. Svolge attività di supervisione dell’equipe di collaboratori del Centro Divenire.