La proposta di obbligare le persone a identificarsi con un documento d’identità anche quando si iscrivono ad un social è sbagliata e pressoché inutile. Oggi per accedere a Facebook o Instagram basta avere 13 anni e inserire nome, indirizzo mail, cellulare, password e data di nascita. Mentire su quei dati e quindi creare account falsi è facile, ma chi compie reati con identità diversa dalla propria o nell’anonimato può comunque essere scoperto dalla polizia postale, che risale al suo indirizzo internet (IP – Internet Protocol), che indica esattamente dove si trova il computer o il telefonino collegato alla Rete. Ecco perché non occorre la carta d’identità per capire chi ha scritto contenuti d’odio. E poi, se qualcuno volesse insultare nell’anonimato, potrebbe usare un IP estero per registrarsi ai social. Spesso le campagne d’odio sono veicolate da società con sede in Paesi nei quali una legge italiana sull’obbligo della carta d’identità per l’iscrizione ai social non produrrebbe effetti.
Inoltre, in caso di denigrazione sistematica da parte di gruppetti di razzisti o odiatori seriali, non ci sarebbe alcun problema perché si tratta di haters dichiarati, che non si nascondono.
Dunque schedare gli iscritti ad un social non risolve problemi ma ne crea. Ad esempio, mette a rischio la privacy dei dati di milioni di utenti. Invece bisognerebbe puntare su prevenzione ed educazione ad un uso consapevole dei media on line.