In queste convulse settimane di emergenza sanitaria, sui social si trova di tutto, dalle fake news alle sterili polemiche. L’informazione professionale di qualità dei giornali e dei mezzi radiotelevisivi sta certamente riguadagnando punti su quella caotica e spesso non verificata che viaggia in Rete.
Peraltro, quando è in gioco la salute pubblica, occorrerebbe un’accortezza maggiore da parte di chi posta d’istinto contenuti che rischiano di produrre conseguenze anche emotive sull’intera collettività.
Su alcune piattaforme web di condivisione sono stati pubblicati nomi e cognomi di soggetti che avrebbero contratto il Covid-19. Secondo alcuni ciò è lecito, poiché in periodi di emergenza la necessità di impedire ulteriori contagi prevale sulla privacy.
Non è così. E’ vero che la privacy non è un diritto assoluto e va bilanciato con altri diritti ugualmente meritevoli di tutela giuridica, in questo caso il sacrosanto diritto alla salute. Dunque, la protezione della riservatezza dei nostri dati sensibili di natura sanitaria a volte viene sacrificata per perseguire obiettivi di interesse pubblico generale. Ma questo riguarda le istituzioni sanitarie o la protezione civile, deputate a tutelare quel diritto, non certo i social. Non è lecita e si configura come un reato la divulgazione, su un profilo social, di dati sensibili di natura sanitaria riguardanti terze persone. A meno che non sia il diretto interessato a fare coming out sul proprio profilo e a comunicare di essere risultato positivo al Coronavirus. Questo va chiarito per impedire l’anarchia in internet e la gogna mediatica per i contagiati.